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Spacciatore torturato a morte nei boschi: chiesto processo per 5 della banda

L'episodio risale al 2022. Una vera e propria vendetta, perché l’uomo, stando alle regole del gruppo di spacciatori, li aveva traditi derubandoli di una partita di droga e 30 mila euro

Prima gli avrebbero portato via il cellulare, poi lo legato ai polsi e percosso per ore, anche con pietre e bastoni, per poi abbandonare il corpo, sfigurato e irriconoscibile, in una piazzola di sosta. Una vera e propria vendetta, perché l’uomo, stando alle regole del gruppo di spacciatori, li aveva traditi derubandoli di una partita di droga e 30 mila euro, con la probabile intenzione di «mettersi in proprio». La procura di Novara ha chiesto 5 rinvii a giudizio a conclusione dell’inchiesta sullo spaccio nei boschi fra Novarese e l’area di Malpensa, un mondo di illegalità in cui il 6 maggio 2022, nel comune di Pombia, era scappato il morto: dopo gli otto patteggiamenti per gli imputati cui erano contestate solo le cessioni di droga, ora il pm chiede il processo per i cinque nordafricani senza fissa dimora, alcuni dei quali addirittura irreperibili, accusati del reato di tortura cui era conseguita l’uccisione di un ventiquattrenne marocchino residente nel Milanese. L’udienza preliminare è fissata a fine maggio.

In base a quanto emerso a conclusione delle indagini, il corpo era stato trovato all’alba del 7 maggio 2022 in una piazzola di sosta sulla strada statale 336 nel comune di Lonate Pozzolo. Era stato lanciato un appello nelle province fra Piemonte e Lombardia, a caccia di persone che potessero fornire qualche informazione. Aveva diversi tatuaggi, sugli arti, sull’addome e sulla schiena. Fin dall’inizio si era battuta la pista della droga. Qualche settimana dopo si era fatto vivo il padre e la vittima era stata identificata. Grazie a servizi di osservazione, intercettazioni, testimonianze, la polizia di Varese aveva verificato che il giovane spacciava nei boschi di Pombia, Oleggio, e Marano Ticino. Proprio in quella zona sarebbe stato torturato dagli altri componenti della sua banda per il presunto furto di droga. E, mentre gli praticavano le sevizie, alcuni del gruppo, fra cui anche la compagna del capo (poi fuggito all’estero), avevano chiamato il padre del ragazzo raccontando quanto stava accadendo. L’uomo, per liberare il figlio, si era reso disponibile a recuperare la cifra necessaria. Aveva chiesto altro tempo, ma la morte del giovane era avvenuta prima che potesse recuperare la somma. Dai boschi novaresi il corpo era stato poi trasportato e abbandonato a Lonate.

Secondo l’autopsia, il ventiquattrenne era morto per un arresto cardiorespiratorio dovuto al grave trauma cranico e a una serie di altre percosse.

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