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Ammetto una debolezza (una delle tante), ovvero che quando sul retro di copertina di un libro leggo “È stato in grado di incarnare un certo esprit tutto parigino …” allora metto da parte ogni indugio Dalla rubrica Chez Mimich

Ammetto una debolezza (una delle tante), ovvero che quando sul retro di copertina di un libro leggo “È stato in grado di incarnare un certo esprit tutto parigino …” allora metto da parte ogni indugio e acquisto seduta stante il libro, bello o brutto che sia poiché la mia anima parigina non è in grado di resistere a nessuna tentazione senza cedervi come avrebbe detto Oscar Wilde; ogni allusione, seppur vaga alla ville lumière o ai suoi abitanti è per me fatale.

E così di tentazione in tentazione ho riempito la mia biblioteca di testi narrativi, poetici, lirici, saggistici di grande pregio, ma naturalmente anche di qualche colossale boiata. Non è stato così per questo delizioso volumetto, “Memorie di un baro” (Adelphi) di Alexandre Georges-Pierre Guitry detto “Sacha”, nato a San Pietroburgo nel 1885 e morto a Parigi nel 1957 (ora che ci penso solo un anno prima della mia nascita), russo di nascita ma francese d’adozione (quasi come me insomma). Si tratta di un romanzetto “dallo humor nero e nutrito di un sorridente cinismo” come ben lo definisce Edgardo Franzosini nella postfazione. In realtà, si tratta di una “illusione ottica” poiché Parigi occupa solo un capitolo del romanzo, mentre gli altri sono dedicati a Caen, Trouville, Angoulême e soprattutto Monte Carlo dove il protagonista, intraprende la sua carriera prima di croupier, poi di croupier-baro e infine quella di puro baro. Causa di questa poco brillante (per noi), ma divertentissima carriera è l’essere rimasto solo al mondo dopo che la numerosa famiglia viene sterminata a causa di un avvelenamento da funghi. In realtà il giovane uomo (Sacha stesso?) trova una occupazione come “groom” in un grande albergo di Trouville e poi all’Hotel Scribe della capitale francese.

Proprio nelle vesti di “groom” verrà ritratto niente meno che da Caran d’Ache in uno stilizzatissimo e stilosissimo disegno riprodotto in una pagina del volumetto. “Barare significa intralciare i progetti del caso” scriverà l’autore per nulla pentito di essere stato un baro. Guitry fu anche autore di commedie, ne scrisse centoventiquattro, ma scrisse anche molto per giornali, riviste. Fu anche autore di cinema, regista e attore, quello che si può definire personaggio poliedrico. Insomma una lettura piacevole e con una sua singolarissima filosofia.

Quando un critico francese disse di lui “Sacha Guitry crede di essere Molière”, Jean Cocteau sarcastico rispose “La cosa strana, caro mio, è che Molière credeva d’essere Sacha Guitry”. Paradosso a parte, la sua scrittura è lucida e ficcante, disincantata ma incantevole. Tornando però all’incipit di questo breve commento, scrive Guitry di Parigi: “Era proprio troppo grande, Parigi, troppo bella per me” e subito dopo: “Il fatto è che per potersi vantare di conoscere Parigi, bisogna farne parte (…) Perché essere parigini non è una questione di volontà né di fortuna. Tantomeno di valore. E’ un misto indefinibile di spirito, gusto, snobismo, balordaggine, spericolatezza e amoralità. Non devi neanche sapere di preciso perché ne fai parte, ti basta saper perché gli altri no…”

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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