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Woody Allen, Coup de chance e la seconda patria

Sono due i principali motivi per cui questa non sarà la solita recensione personale ad un film, anzi i motivi sono tre: il primo è che si tratta di Woody Allen e con lui ho un legame molto profondo che risale al 1969, quando undicenne, vidi il suo primo film, “Prendi i soldi e scappa”; da allora non me ne sono perso uno e sono passati solo cinquantaquattro anni. Il secondo motivo è che, sia Woody che io consideriamo Parigi la nostra seconda patria e che “Coup de chance” inizia proprio a qualche centinaio di metri dalla mia casetta delle vacanze parigine. Il terzo motivo, più banale è che si tratta di una sorta di giallo, per cui qualcuno mi farebbe notare che non dovrei rivelarne il finale (e nemmeno il plot narrativo). Insomma questa volta parlerò del film solo attraverso suggestioni personali legate più ai luoghi che alle vicende.

La prima sequenza, quella dell’incontro tra Fanny ed Alain, ex compagni di liceo, avviene sulla Avenue Montaigne, una delle grandi vie del lusso parigino e delle grandi maison della moda. Esattamente i due si incontrano dinnanzi al Théâtre des Champs Elysées dove, con grande maestria, Woody mostra senza mostrare la sagoma sfuocata della Tour Eiffel, una sorta di imprimatur alla location dell’intero film. I due passeggiano quasi fino all’ingresso dell’Hôtel Plaza Athénée, mentre cammin facendo Fanny rivela di essere impiegata di una grande casa d’aste, “Artcurial”, che ha effettivamente la sua sontuosa sede all’inizio dell’Avenue al “Rond Point” degli Champs Elysées. Non mentire e non essere approssimativi, contribuisce a fare di un regista, un grande regista. Sono luoghi che conosco come le mie tasche e che frequento da decenni e non posso non notare questi particolari.

Non è dato di sapere dove abiti esattamente Fanny col marito Jean, ricco faccendiere un po’ losco, poiché le riprese sono sempre all’interno della elegante abitazione, probabilmente haussmaniana. Ma sono le panchine del lato nord del Palais Royal a due passi dal Vefour, celebratissimo ristorante parigino, ad ospitare lo spuntino tra Fanny e Jean, sufficientemente lontano dalla casa d’aste dove lavora Fanny, tanto da rendere giustificati i sospetti di Jean. Non facilissimo per tutti riconoscere il Café de l’Époque meta di una della mie sfinenti passeggiate serali, proprio a fianco della bellissima Galerie Véro-Dodat. Facilissimo invece identificare nella Shakespeare & Co. la libreria dove curiosano i due amanti, del resto Woody non poteva resistere ad inserire anche questa location, luogo must per tutti, ma in particolari per newyorkesi o americani colti, impegnati nel Grand Tour europeo.

Basta dare poi un’occhiata ai vialetti, affiancati dalle inconfondibili panchine inclinate, per farci capire che Fanny e il marito Jean, fanatico della forma fisica, stanno facendo jogging al Parc Monceau. Questo indizio però ci aiuta anche a definire il luogo della loro probabile abitazione che potrebbe essere compresa nell’area tra il Boulevard Malesherbes e Il Boulevard Haussaman nel cuore dell’VIII arrondissement. Un gioco da ragazzi riconoscere il Quai des Grands Augustins, a due passi dalla Monnai, dove si incontrano Jean e gli sgherri rumeni assoldati per far sparire il povero Alain. Jean e i brutti ceffi passeggiano tra le chiatte ormeggiate, mentre sullo sfondo compare solitaria la statua di un reale cavaliere: si tratta de “le Vert Galant” del Pont Neuf ovvero Henri IV, colui che disse “Parigi val ben una messa!”.

Ma in mezzo a tante certezze, ecco i dubbi: sarà Bofinger il restaurant dove cenano per la prima volta Fanny e Alain? È la Fôret de Fontainbleu il luogo della battuta di caccia assassina a cui partecipano Jean e la suocera? Molto probabile. Ma la cosa che mi tormenta di più è non aver saputo collocare la piazzetta con il delizioso mercatino con fontana al centro dove Fanny e Alain fanno la spesa.

Naturalmente si accettano suggerimenti. Ah dimenticavo! E il film? Il film è bellissimo, come la città…

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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