Difficile pensare Milano, con i suoi discussi grattacieli e le masse di turisti tutto l’anno, senza Giorgio Armani.
Giorgio Armani, lo stilista che ha rilanciato Milano come brand mondiale, come capitale dello shopping e della moda e in definitiva come capitale europea. Magliette, pantaloni ma poi anche cioccolatini, dolci, carrozzerie per auto e scenografie per teatri e costumi per film americani: non solo moda ma anche cultura, non solo industria ma uno stile di vita.
Difficile pensare al Made in Italy senza dire Armani e dopo di lui e sulla sua scia un’infinità di stilisti: Versace, Valentino, Missoni, Coveri, Prada, Trussardi, Dolce&Gabbana, Moschino, Rocco Barocco.
Armani arriva dopo gli anni di piombo, del conformismo politico e del culto delle masse: invece del sociale, l’individuo che cerca la bellezza e l’unicità anche nel look e perché no nello stile di vita e nel piacere di vestirsi bene.
Senza però il ‘68 difficilmente Armani sarebbe diventato Armani. Il suo stile è caratterizzato dal rifiuto dell’opulenza e dalla ricerca dell’essenziale, dal superamento delle differenze troppo rigide dei generi, dalla comodità e dalla destrutturazione.
Una moda figlia della contestazione per i figli e le figlie della contestazione diventati adulti e ricchi.
Naturalmente poi Armani per diverse tasche, perché tutti possano permettersi almeno una cosina di Armani che siano delle ciabatte di plastica piuttosto che un portachiavi con l’aquilotto che sono il simbolo di quella Logo-Society tanto studiata e pure contestata perché simbolo di un conformismo di massa non più politico ma quotidiano e pervasivo.