Tony Capuozzo, l’antieroe

«Non mi sono mai considerato un inviato di guerra ma uno che non c’entrava niente con la guerra». Con queste parole antiretoriche, come tutto il resto della sua conversazione, il giornalista Tony Capuozzo ha chiuso la serata di mercoledì scorso allo Stampa Club di Novara presieduto da Serena Fiocchi.

Prima della cena conviviale Capuozzo ha risposto alle domande del giornalista Daniele Godio e dopo la cena alle domande dirette degli stessi soci e dei loro ospiti.

Capuozzo non ha mai voluto essere solo un inviato di guerra, fossilizzandosi in questo ruolo, infatti all’inizio ha ricordato la sua esperienza cilena da inviato dalla miniera di Acatama in cui trenta minatori rimasero chiusi per mesi prima di essere riportati in superficie, molto toccante umanamente ma anche a lieto fine. 

Capuozzo ha sempre rifuggito l’immagine dell’inviato Rambo, in mimetica e soprattutto dell’inviato che sosteneva a priori sempre le ragioni armate di una parte contro l’altra. 

Per raccontare la guerra, purtroppo quasi iscritta nel dna degli uomini secondo Capuozzo , bisogna vivere un distacco, lo definirei spirituale, dalle ideologie che giustificano le guerre e dalle loro retoriche anche giornalistiche. 

Pur essendo un giornalista sul campo o forse proprio per questo Capuozzo ha saputo fornire ai presenti una chiave di lettura strategica sui due grandi conflitti in corso: Ucraina e Palestina.

Quello che è mancato e manca è un piano B: un’alternativa diplomatica di compromesso che ponga fine, anche solo temporaneamente, al conflitto. 

Ha rilevato anche lui amaramente l’assenza di un’iniziativa europea non subalterna agli Usa in presenza di un nuovo protagonismo dei cosiddetti Brics. 

Il tono semplice e prosaico assolutamente antiretorico ha saputo conquistare la platea attenta e affollata.

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Pier Luigi Tolardo

Pier Luigi Tolardo

54 anni, novarese da sempre, passioni: politica, scrittura. Blogger dal 2001.

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Tony Capuozzo, l’antieroe

«Non mi sono mai considerato un inviato di guerra ma uno che non c’entrava niente con la guerra». Con queste parole antiretoriche, come tutto il resto della sua conversazione, il giornalista Tony Capuozzo ha chiuso la serata di mercoledì scorso allo Stampa Club di Novara presieduto da Serena Fiocchi.

Prima della cena conviviale Capuozzo ha risposto alle domande del giornalista Daniele Godio e dopo la cena alle domande dirette degli stessi soci e dei loro ospiti.

Capuozzo non ha mai voluto essere solo un inviato di guerra, fossilizzandosi in questo ruolo, infatti all’inizio ha ricordato la sua esperienza cilena da inviato dalla miniera di Acatama in cui trenta minatori rimasero chiusi per mesi prima di essere riportati in superficie, molto toccante umanamente ma anche a lieto fine. 

Capuozzo ha sempre rifuggito l’immagine dell’inviato Rambo, in mimetica e soprattutto dell’inviato che sosteneva a priori sempre le ragioni armate di una parte contro l’altra. 

Per raccontare la guerra, purtroppo quasi iscritta nel dna degli uomini secondo Capuozzo , bisogna vivere un distacco, lo definirei spirituale, dalle ideologie che giustificano le guerre e dalle loro retoriche anche giornalistiche. 

Pur essendo un giornalista sul campo o forse proprio per questo Capuozzo ha saputo fornire ai presenti una chiave di lettura strategica sui due grandi conflitti in corso: Ucraina e Palestina.

Quello che è mancato e manca è un piano B: un’alternativa diplomatica di compromesso che ponga fine, anche solo temporaneamente, al conflitto. 

Ha rilevato anche lui amaramente l’assenza di un’iniziativa europea non subalterna agli Usa in presenza di un nuovo protagonismo dei cosiddetti Brics. 

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