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Post-Covid, la fase 2 per Novara si prevede non “critica” ma solo “frenata”

In un Piemonte che da sabato 25 aprile è la seconda regione italiana per casi di Covid19 (+19,4%  nell’ultima settimana ben oltre la media italiana dell’11%) come potrà essere affrontata la prossima fase 2 che si presenta particolarmente faticosa?

Il quadro appare diversificato fra le città e per Novara la ripartenza potrebbe non essere “critica” come in diverse altre province, anche confinanti, ma solo “frenata”, pur se non “lenta” o “facile” come per il Friuli e larga parte del Centro e Sud Italia.

 

 

Ad affermarlo è il recentissimo rapporto “La fase 2: le città italiane sono pronte?” realizzato da Ernst&Young (EY) sulla base dell’ultima analisi annuale Smart City Index, che misura le città capoluogo di provincia, classificandole sulla base della loro capacità di innovare e offrire servizi di qualità ai cittadini.

Ora EY ha definito una mappa della ripartenza post-Covid19 incrociando i dati di questo Smart City Index con il livello di contagio e valutando le condizioni necessarie per uscirne: adeguamento delle strutture sanitarie, riorganizzazione della mobilità, potenziamento delle reti di telecomunicazione, rafforzamento delle tecnologie di controllo delle città.

Con una considerazione: sono più pronte di altre a ripartire quelle con le infrastrutture più capaci a reagire ad eventi traumatici (che il rapporto cataloga con il termine di “resilienza”) e dotate delle tecnologie più avanzate.

EY individua sei “leve” per la ripartenza: un’organizzazione della risposta sanitaria all’altezza, infrastrutture di mobilità capienti e flessibili (ad esempio integrate con bici, monopattini e car sharing), ampia copertura di fibra ottica, centrali di controllo urbano, servizi pubblici digitalizzati e capacità di impegno dei cittadini nell’uso di app e social.

“Le condizioni per la riapertura dipendono da fattori sanitari, economici e sociali. È però indubbio che le città hanno situazioni e prospettive molto diverse” afferma EY che chiarisce: “una città con un livello di contagio più elevato potrebbe essere costretta a dover mantenere più rigorosamente il distanziamento sociale rispetto ad un’altra” ma “se questa città ha un sistema di mobilità più capiente e più flessibile, se il suo sistema di logistica urbana è più avanzato, se ha più fibra ottica nelle abitazioni e magari il 5G è già partito, ecco che potrà permettersi ancora più libertà di azione”.

«Tutte le città devono sfruttare gli investimenti fatti nella smart city negli ultimi anni e capitalizzarli verso la ripartenza, facendo sistema tra i soggetti coinvolti. Chi è in una situazione critica di contagio farà molto più fatica a muoversi in quest’ottica» dice Marco Mena, Senior Advisor di EY, responsabile dello Smart City Index. Che aggiunge: «Noi stimiamo che più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di cogliere immediatamente questa opportunità, ma farà molta fatica, perché non ha le infrastrutture e le tecnologie adatte ad affrontare la complessità della ripartenza».

Novara non sembra essere tra queste. Il rapporto di EY presenta infatti quattro scenari a partire dal livello di contagio rispetto alla popolazione, individuando altrettanti “cluster” di possibili vantaggi nella ripartenza.

Novara è classificata nel terzo “cluster” tra le 29 città a “ripartenza frenata” (con alto contagio e buona “resilienza”), ovvero – scrive EY – “le città del Nord tradizionalmente “smart”, come Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza, che, pur avendo sistemi di mobilità, reti TLC e reti di sensori molto avanzate, appaiono frenate nella ripartenza da alti livelli di contagio (spesso correlati ad elevati livelli di ospedalizzazione e carenza di medici di base sul territorio)”.

Insieme a Novara ci sono anche Torino e Cuneo, mentre Alessandria, Asti, Biella, Verbania e Vercelli ricadono nel quarto “cluster” con “le città dove la ripartenza appare più critica, perché accanto a situazioni di contagio molto elevate” si abbinano “reti di trasporto pubblico poco capillari e scarsa presenza del car sharing, limitate coperture TLC, pochi sensori sul territorio e mancanza di piattaforme e centrali di controllo dove raccogliere i dati”.

Ora il compito passa agli amministratori pubblici. «Le città dovranno quindi definire i piani della ripartenza, che avranno ovviamente una declinazione locale molto spinta» commenta Andrea D’Acunto, Mediterranean Government and Public Sector Leader di EY. Ed oltre alle infrastrutture, aggiunge, «dovranno lavorare imprescindibilmente su altri fattori, come la comunicazione per influenzare i comportamenti dei cittadini, la rifocalizzazione dei fondi nazionali ed europei e lo snellimento delle decisioni per favorire la collaborazione con i soggetti privati in grado di capitalizzare sulle infrastrutture e sviluppare i servizi (es. sanità e mobilità). Diviene quindi indispensabile la velocità nel mettere a punto le concessioni e lanciare i servizi per adattarsi al cambio di abitudini e creare il “new normal” delle città».

 

 

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Antonio Maio

Antonio Maio

Nato a Lecco il 26 febbraio 1957, vive a Novara dal 1966. Giornalista dal 1986 ha svolto la professione quasi esclusivamente ai settimanali della Diocesi di Novara fino a diventarne direttore.

Una risposta

  1. Purtroppo ci è voluta questa tragedia per favorire il telelavoro agile, lo smart working o il lavoro agile, come si chiama nelle pubbliche amministrazioni. Da anni gli uffici scolastici potrebbero metterlo in pratica, ma si è sempre trascurato questo aspetto. Faccio solo un esempio: quando un alunno dopo l’esame di terza media , si iscrive alla scuola superiore, il genitore si deve recare fisicamente alla scuola media per ritirare il cosiddetto “certificato delle competenze” e il “diploma”. si tratta di due files che se stampati producono circa 6 fogli. Una volta consegnati alla scuola superiore da parte dei genitori , i fogli tornano ad essere files (scansionati e inseriti nei sistemi di segreteria digitale). Questo produce il movimento di centinaia di migliaia di persone in tutta Italia e una spesa per carta che ad occhi potrebbe aggirarsi sugli 80.000 euro di sola carta inutile (prendendo una media di 200 alunni per scuola e su 8.500 scuole italiane). Speriamo il virus contribuisca a cambiare qualcosa nelle nostre abitudini spesso pessime.

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