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Dalla rubrica Vivere di un consumato amore

L’unica voce femminile tra le sette tracce proposte quest’anno all’Esame di Stato del secondo ciclo di istruzione è quella di Oriana Fallaci.

E che voce! Una giornalista impavida, che non ebbe timore di far ammettere a Kissinger l’inutilità della guerra in Vietnam; che ebbe la sfrontatezza di togliersi il velo davanti alla guida suprema dell’Iran Khomeini e di provocarlo sul tema del chador; una voce di brutale sincerità contro “un Occidente senz’anima né identità di fronte al terrorismo islamico”, mai trattenuta dalla retorica della correttezza politica.

Una voce scomoda, ancora attuale e profetica.

A leggere le parole con cui la Fallaci commentò nel 2004 la sua posizione sulle adozioni gay farebbe dubitare che la giornalista sia sempre stata un’icona progressista e anticonformista, rigorosamente laica e mai bigotta: “Le leggi dello Stato non possono ignorare le leggi di natura […] Con quale diritto, nel caso di due omosessuali maschi, la coppia si serve d’un ventre di donna per procurarsi un bambino e magari comprarselo come si compra un’automobile? Con quale diritto, insomma, ruba a una donna la pena e il miracolo della maternità? Anche se non ho bambini mi sento usata, sfruttata, come una mucca che partorisce vitelli destinati al mattatoio. […] Vedo qualcosa di mostruosamente sbagliato. Qualcosa che mi offende anzi mi umilia come donna, come mamma mancata, mamma sfortunata. E come cittadina”.

Negli stessi giorni dell’Esame di maturità il Tribunale di Padova, in base a una sentenza della Cassazione, ha impugnato la trascrizione degli atti di nascita di 33 bambini e bambine figli di due madri, concepiti all’estero con gestazione per altri o procreazione assistita. A prescindere dalle posizioni politiche e da una realtà arcobaleno in crescendo, nella convinzione che lo Stato debba sempre pensare di estendere i diritti e non restringerli, e che i bambini di coppie omogenitoriali non possano essere cancellati per decreto e meritino uno sviluppo sereno nel tessuto sociale, la questione porta in luce un vuoto legislativo da colmare, la consapevolezza che le lotte per i diritti civili siano strumentalizzate, nello specifico, che l’ideologia “gender”  spesso utilizzi l’omosessualità per raggiungere i propri scopi reconditi; una certa ipocrisia ed egoismo da parte di chi sbandiera il valore dell’amore su tutto come movente per giustificare qualunque cosa, compresa la maternità per procura.

Era proprio l’ipocrisia che indignava la Fallaci.

La donna che si offre di soccorrere un amico gay si presenta solo nei film, nella realtà la maternità surrogata è un contratto tra soggetti privati.

Pensare che sia l’esito di un cammino di emancipazione femminile e di progresso lascia l’amaro in bocca: quell’utero che “è mio e lo gestisco io”, rivendicazione del diritto di decidere se e quando avere un figlio, di una maternità non più intesa come dovere morale o destino biologico, è diventato strumento di subordinazione delle donne al mercato.

La femminista lesbica Marie Josephe Bonnet, fondatrice del Fronte omosessuale d’azione rivoluzionaria, lo ha chiarito a ‘Le Figaro’, inimicandosi gli attivisti del movimento LGBT francese:

“I bambini sono esseri umani, non possono in ogni caso essere prodotto di scambio. Non si può regalare un bambino. Non sarebbe un progresso, ma una regressione. Così si uccide la madre e questa è la regressione per eccellenza. […] L’utero in affitto è prima di tutto la distruzione della madre […] e questo tocca l’identità delle donne. Non c’è niente di etico nel mercato delle madri surrogate, ma solo profitti economici”.

Il dilemma di dare la vita o negarla è al centro della riflessione di Oriana Fallaci in un libro del 1975, “Lettera ad un bambino mai nato”, il monologo di una donna che aspetta un figlio e guarda a questa scelta come a un carico dotato di profonda moralità.

Rivolgendosi al feto che porta in grembo, la protagonista si chiede se sarà maschio o femmina: in entrambi i casi il mondo pretende specifici comportamenti che, anche quando non determinati dal sesso del nascituro, limiteranno la sua libertà di esprimersi.

«Anzitutto, a me, interessa che tu sia una persona; la parola persona non pone limiti a un uomo o a una donna, non traccia frontiere. Cuore e cervello non hanno sesso, nemmeno il comportamento. Se sarai una persona di cuore e cervello, ricordalo, io non sarò certo tra quelli che ti ingiungeranno di comportarti in un modo o nell’altro in quanto maschio o femmina».

Se concordiamo sul fatto che i bambini sono persone, non possiamo pensarli come fabbricazione di un prodotto da offrire a committenti, anche se il mercato, da cittadini, tende a trasformarci in collezionisti di desideri.

Paradossalmente, dovremmo chiederci, come la Fallaci,  cosa vuole l’essere che si porta in grembo: «Mi son sempre posta l’atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando,’Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché‚ mi ci hai messo, perché?’. La vita é una tale fatica, bambino. E una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano ad un prezzo crudele. Come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio?».

Né i diritti degli omosessuali né i bambini devono essere trasformati in ideologia, in strumento politico, in lobby economico – culturale – sessuale: in una società abituata a tracciare in modo arbitrario confini, che interpreta la realtà per categorie, intollerante verso chi non la pensa come i media ci impongono di pensare, cerchiamo di salvare l’umano e sfruttare bene il miracolo di essere nati.

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Claudia Cominoli

Claudia Cominoli

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