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Referendum, Pd: «Favorevoli al sì solo con precise garanzie»

Anche dal Partito Democratico alla fine è arrivata un’indicazione di voto favorevole al referendum per la diminuzione dei parlamentari. Ma il sofferto “sì” è arrivato solo in occasione del quarto e ultimo passaggio della legge costituzionale, nell’ottobre dello scorso anno a Montecitorio, dopo che solo tre mesi prima al Senato i rappresentanti dem (con il partito all’epoca ancora all’opposizione) avevano mostrato pollice verso, risultando determinanti (insieme al “no” di Leu e alla non partecipazione al voto di Forza Italia) nel mancato raggiungimento della maggioranza qualificata per evitare la consultazione referendaria.

Un cambiamento di opinione, come spiega il deputato del Pd Enrico Borghi, «determinato dal fatto che abbiamo ottenuto precise garanzie circa il mantenimento di certi equilibri di rappresentatività e che il taglio debba essere accompagnato da una legge elettorale adeguata così come da altre riforme». Con quale sistema? «Noi siamo per il proporzionale con una soglia di sbarramento sul modello tedesco; non crediamo che unicamente un’opzione “drogata” come quella maggioritaria possa garantire governabilità».

 

 

E le altre proposte? Borghi insiste sull’importanza di altre proposte che dovrebbero essere discusse dopo la pausa estiva. Proposte che «ridefiniscano il ruolo stesso e alcune competenze del parlamentare». Una semplificazione burocratica attraverso cui lo Stato «si svesta di certe sue prerogative, delegandole alle Regioni e al territori, dove è anche presente un’autentica polverizzazione dal punto di vista amministrativo». Un’allusione chiara alla presenza in Piemonte di ancora qualcosa come circa 1.200 Comuni «quasi quanti la vicina Lombardia, che però ha più del doppio di abitanti».

Oltre a ridisegnare i collegi del futuro Parlamento per garantire anche alle piccole aree una rappresentanza politica «si dovrà mettere mano a quella norma che prevede la partecipazione di tre delegati regionali in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica (numero divenuto troppo “sbilanciato” a fronte di meno parlamentari, ndr), abbassare a 25 anni l’età per essere eletti senatori (oggi è 40) così come consentire di eleggerli ai diciottenni. Un’operazione che dovrebbe riequilibrare anche dal punto di vista anagrafico il voto».

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Luca Mattioli

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