I primi ricordi personali di Ezio Leonardi sindaco sono quelli comuni a tanti bambini novaresi di cinquant’anni fa: Leonardi che si complimenta con i bambini di Novara che cantano tutti insieme Fratelli d’Italia al palazzetto dello sport di viale Kennedy per la Festa degli alberi.
Leonardi è un gigante fisicamente e ai bambini sembra ancora più grande: non lo me lo posso dimenticare facilmente perché mi disse a 10 anni nel mio oratorio che se ero già così alto sarei diventato grande come lui e l’ho sperato molto, ma è rimasto più grande lui.
Leonardi era popolarissimo a Novara, un recordman delle preferenze che allora erano indispensabili in un numero elevatissimo anche solo per entrare in consiglio comunale.
Il suo successo era personale, la corrente degli scalfariani era molto forte in provincia, nei paesi mentre a Novara era più forte la sinistra del partito che aveva i suoi maggiori esponenti in Alessandro Giordano, Enrico Nerviani e l’avvocato Pierluigi Cassietti. Ma i voti personali di Leonardi erano molto al di là del peso della corrente e anche Giordano e Nerviani ne ammiravano la correttezza e le capacità amministrative.
Quando il Psdi di Franco Nicolazzi, all’indomani del successo personale di Leonardi che trainò con sé la Dc, si accordò con il Pci per sostituire Leonardi con l’ingegner Maurizio Pagani nel 1978, a molti anche non democristiani apparve come un’ingiustizia, come una delle ragioni di crisi del sistema democratico e anche per questo negli anni ‘90, dopo tanti “caso Leonardi” si passò all’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini.
Ricordo bene la sala stracolma di gente al Broletto al passaggio delle consegne fra Leonardi e Pagani che di Leonardi era stato assessore e il lungo abbraccio che il sindaco Ezio offrì per primo al suo successore.
Leonardi era così, sempre votatissimo: fece il vice di Armando Riviera per diversi anni collaborando sempre lealmente nonostante fosse intanto stato eletto già senatore, solo perché glielo aveva chiesto Oscar Luigi Scalfaro.
Era rimasto sostanzialmente il ragazzo di Mezzomerico che in convitto dai salesiani del baluardo La Marmora andava a confessarsi dal suo professore di scienze Don Ponzetto, il prete dei poveri, che per penitenza veniva coinvolto nel giro del portare dei pacchi alle famiglie più indigenti, cioè lo spirito di servizio in lui prevaleva su ogni altra considerazione e orgoglio personali.
Non avrebbe voluto “andare a Roma a fare il peones”, come venivano chiamati allora i parlamentari di provincia senza incarichi governativi, e avrebbe voluto rimanere a Novara a occuparsi di strade e scuole, ma anche lì obbedì per sedare una delle tante divisioni interne alla Dc e dare al suo partito una candidatura competitiva.
Ho ascoltato, ormai trentenne e non più bambino dell’oratorio, una sua personale, lucida e commossa testimonianza di come le campagne elettorali fossero negli anni‘80 degenerate, il rimpianto di non essere riuscito a distinguersi ma anche la coscienza serena e tranquilla di un uomo che dalla politica non ci aveva mai guadagnato nulla se non la stima e perfino l’affetto dei suoi concittadini.
Per questo l’ultima stagione della sua vita, dopo il ritiro dalla vita politica, la fine della Dc lo aveva lasciato vedovo del suo partito e non aveva più voluto accasarsi altrove, è stata così intensa e impegnata.
Nel girare, progettare e attuare concretamente, negli anni trascorsi negli organismi direttivi e alla presidenza della Fondazione della Comunità Novarese aveva ritrovato la passione e il gusto dei suoi anni giovanili nel servizio concreto e disinteressato a chi aiutava il prossimo e la sua gente.
Ora giganteggia per forza in un tempo che a volte ci sembra lillipuziano nelle sue dinamiche e spesso anche nei suoi protagonisti.
(foto Mario Finotti)