Psicosetta di Cerano: parla la vittima “fuoriuscita” che ha denunciato abusi e torture

I giudici hanno deciso di procedere a porte chiuse, senza pubblico, per timore che dal racconto delle vittime possano uscire particolari scabrosi, contrari al comune senso del pudore

«Ho visto cose orribili e sono uscita, altrimenti sarei morta lì»: sono queste alcune delle frasi che Giulia ha detto ieri (venerdì) era all’uscita dell’aula della Corte d’Assise di Novara al processo contro la cosiddetta psicosetta delle bestie. La giovane, 35 anni, abitante nel Cuneese, è stata la prima testimone dopo l’udienza di smistamento di fine febbraio, quando i giudici hanno deciso di procedere a porte chiuse, senza pubblico, per timore che dal racconto delle vittime possano uscire particolari scabrosi, contrari al comune senso del pudore.

Giulia è stata ascoltata dalle 10.30 alle 17.30: rispondendo alle domande del pubblico ministero (lunedì sarà la volta del contro-interrogatorio da parte dei difensori degli imputati) ha ripercorso anni e anni all’interno del gruppo lombardo di professionisti che, secondo l’accusa, reclutava ragazze in negozi, scuole di danza, studi di psicologia per lo più a Milano per avviarle a orge e incontri di sesso estremo nei boschi del Ticino a Cerano, in un cascinale abitato dal capo setta, e in altre case fra Milano e le province di Pavia e Genova. Le imputazioni per i 26 imputati, che respingono gli addebiti, sono di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di violenze sessuali, anche su minore. La riduzione in schiavitù era contestata solo al capo della setta, Gianni Guidi, settantanovenne noto come il «dottore» che è morto la scorsa settimana nella sua abitazione di Milano prima ancora di essere rinviato a giudizio: malato da tempo, la sua posizione era stata sospesa in udienza preliminare a Torino perché ritenuto incapace di stare in giudizio. Un perito avrebbe dovuto riesaminare le sue condizioni di salute nei prossimi mesi.

Nella sua lunga testimonianza contro gli altri appartenenti della setta, processati a Novara dopo le indagini della polizia, Giulia ha ripercorso tutto il periodo in cui è stata a Cerano e nelle altre case, fin dall’età di 7 anni, quando era entrata accompagnata da una zia, per arrivare al 2010, quando aveva maturato la decisione di staccarsi «per non morire lì», come ha ripetuto anche in aula. Dopo un percorso psicologico ha poi preso coraggio e nel 2020 ha denunciato plagio, torture, abusi, in questura a Novara.

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

Condividi l'articolo

© 2020-2024 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Redazione

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Psicosetta di Cerano: parla la vittima “fuoriuscita” che ha denunciato abusi e torture

I giudici hanno deciso di procedere a porte chiuse, senza pubblico, per timore che dal racconto delle vittime possano uscire particolari scabrosi, contrari al comune senso del pudore

«Ho visto cose orribili e sono uscita, altrimenti sarei morta lì»: sono queste alcune delle frasi che Giulia ha detto ieri (venerdì) era all’uscita dell’aula della Corte d’Assise di Novara al processo contro la cosiddetta psicosetta delle bestie. La giovane, 35 anni, abitante nel Cuneese, è stata la prima testimone dopo l’udienza di smistamento di fine febbraio, quando i giudici hanno deciso di procedere a porte chiuse, senza pubblico, per timore che dal racconto delle vittime possano uscire particolari scabrosi, contrari al comune senso del pudore.

Giulia è stata ascoltata dalle 10.30 alle 17.30: rispondendo alle domande del pubblico ministero (lunedì sarà la volta del contro-interrogatorio da parte dei difensori degli imputati) ha ripercorso anni e anni all’interno del gruppo lombardo di professionisti che, secondo l’accusa, reclutava ragazze in negozi, scuole di danza, studi di psicologia per lo più a Milano per avviarle a orge e incontri di sesso estremo nei boschi del Ticino a Cerano, in un cascinale abitato dal capo setta, e in altre case fra Milano e le province di Pavia e Genova. Le imputazioni per i 26 imputati, che respingono gli addebiti, sono di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di violenze sessuali, anche su minore. La riduzione in schiavitù era contestata solo al capo della setta, Gianni Guidi, settantanovenne noto come il «dottore» che è morto la scorsa settimana nella sua abitazione di Milano prima ancora di essere rinviato a giudizio: malato da tempo, la sua posizione era stata sospesa in udienza preliminare a Torino perché ritenuto incapace di stare in giudizio. Un perito avrebbe dovuto riesaminare le sue condizioni di salute nei prossimi mesi.

Nella sua lunga testimonianza contro gli altri appartenenti della setta, processati a Novara dopo le indagini della polizia, Giulia ha ripercorso tutto il periodo in cui è stata a Cerano e nelle altre case, fin dall’età di 7 anni, quando era entrata accompagnata da una zia, per arrivare al 2010, quando aveva maturato la decisione di staccarsi «per non morire lì», come ha ripetuto anche in aula. Dopo un percorso psicologico ha poi preso coraggio e nel 2020 ha denunciato plagio, torture, abusi, in questura a Novara.