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«Interazione tra ospedale e territorio. La fase 2 deve partire da lì»

«I numeri del bollettino quotidiano della Protezione civile evidenziano come Lombardia e Piemonte da soli contribuiscono per il 50% della crescita dei contagi giornalieri, per questo il contenimento della pandemia nel Paese passa da qui: da come queste due regioni hanno saputo e sapranno gestire l’emergenza, ma anche dalla capacità di analisi del fenomeno e dell’organizzazione delle contromisure. Aspetti, questi ultimi, sui cui il governo del Piemonte ha rivelato e sta rivelando evidenti fragilità. Troppo spesso il presidente Cirio e l’assessore Icardi hanno inseguito gli eventi invece di anticiparli costituendo una catena di comando pletorica che, alla prova dei fatti, fatica a governare la situazione ma torna utile per scaricare le responsabilità sui sottoposti».

Un quadro allarmante quello che il vice presidente della commissione sanità (riunione prevista per oggi pomeriggio) e consigliere regionale del Pd, Domenico Rossi, traccia della situazione emergenziale in Piemonte. Le dichiarazioni del capogruppo della Lega, Alberto Preioni, contro i medici di base e le direzioni delle strutture sanitarie, i tamponi promessi ma arrivati in ritardo per operatori sanitari e Rsa mai hanno generato uno tsunami sulla gestione regionale della crisi sanitaria. Tanto da portare parlamentari e consiglieri regionali del Pd in teleconferenza per discutere della proposta (arrivata dopo quella dei 5 Stelle) di chiedere al governo il commissariamento della sanità.

 

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«Ci sono molti problemi, occorre prenderne atto, però mi preoccupa la mancanza di capacità di ascolto: sono state molte le proposte e i suggerimento inviati al Presidente Cirio e all’assessore Icardi dai sindacati e dagli ordini professionali. Io stesso l’ho fatto in diverse occasioni, ma senza alcun esito. Già il 2 marzo, ad esempio, avevo chiedo di effettuare i tamponi a campione sui pazienti sintomatici gravi e il 21 marzo con il collega Mauro Salizzoni sollevato il problema delle Rsa e di separare luoghi covid da quelli non covid».

Secondo lei gli errori sono riconducibili al numero limitato di tamponi?
Credo che alcuni passi falsi abbiano inciso particolarmente sulla situazione che stiamo vivendo, tra cui, sì, il numero dei tamponi, soprattutto nella fase iniziale quando: isolando più persone avremmo potuto arginare maggiormente il contagio. Non è vero che il Piemonte ne ha fatti pochi perché aveva pochi laboratori; è stata una scelta precisa fatta dal governatore in accordo con il comitato scientifico. Ci sono i verbali delle commissioni e le dichiarazioni pubbliche di Cirio che lo dimostrano: ha sempre detto che il numero dei tamponi in Piemonte non era un problema fino a quando non è emerso il caso a livello nazionale.

Quali sono le altre criticità?
Sono soprattutto di carattere organizzativo. La mancanza di protocolli chiari nei diversi ambiti su tutto il territorio regionale, ad esempio, che ha generato confusione e ritardi: siamo ancora in attesa di un protocollo unico per le Usca (Unità speciali di continuità assistenziali, ndr.), quello per la somministrazione delle terapie è arrivato soltanto il 6 aprile. Infine, il “vizio” degli annunci precoci da parte della giunta: troppi e troppo spesso non seguiti da atti concreti se non dopo molti giorni generando aspettative poi frustrate, La confusione sugli acquisti del dispositivi di protezione, per esempio, prima centralizzati poi demandati di nuovo alle Asl per le piccole quantità.

La scorsa settimana con il suo gruppo consigliare ha proposto l’instaurazione di una  commissione speciale di indagine, è ancora della stessa idea?
Sì certo, una proposta avanzata insieme al collega Daniele Valle. È una soluzione prevista dal regolamento del consiglio, è doveroso attivarla ed è nell’interesse anche della maggioranza.  Abbiamo il dovere di comprendere cosa non ha funzionato da un punto di vista amministrativo e gestionale, perché solo con la consapevolezza dei problemi si possono approntare soluzioni e rendere così più efficiente il sistema di emergenza piemontese per il futuro. Sono troppe le segnalazioni che, da più parti, medici, infermieri, sindacati, cittadini continuano ad arrivare sulle tante criticità passate e presenti relative all’emergenza covid in Piemonte.

Da dove bisognerebbe cominciare? Quali sono le proposte per la fase 2?
Ritengo che la parola d’ordine per il futuro sia flessibilità. Serve un sistema meno rigido, capace di rispondere alle esigenze in maniera tempestiva, nel quale i diversi ambiti e settori comunicano tra di loro, a partire da ospedale e territorio. Purtroppo si lavora ancora troppo verticale. Bisogna rafforzare la cura territoriale, a partire dalle Usca. Ora che la pressione sugli ospedali scende con migliaia di persone isolate a domicilio serve qualcuno che si occupi di loro. Lo sforzo che è stato fatto nei confronti degli ospedali, anche con assunzioni straordinarie, ora va rivolto al territorio. Queste Unità, inoltre, necessitano di un protocollo unico regionale di intervento che chiarisca in maniera univoca: come sono composte, come devono rapportarsi con i medici di medicina generale, quali terapie ed esami possono somministrare. Lo chiediamo insieme ai medici da settimane, ma la Regione non ha ancora provveduto. Anche il dramma delle Rsa ci dice che dobbiamo potenziare la domiciliarità.

Anche l’organizzazione degli ospedali va ripensata.
In ogni provincia si deve identificare un ospedale dedicato ai malati covid dove indirizzare anche i casi sospetti, in modo da rimettere in funzione gli ospedali dove riprendere l’attività ordinaria con un piano straordinario di recupero per le visite e gli interventi rimandati in questi mesi. Gli ospedali Hub come il Maggiore di Novara o le Molinette di Torino devono tornare a occuparsi di tutte le altre patologie, garantendo l’alta specialità. Nel periodo di ritorno alla normalità sarà necessario identificare, inoltre, dei luoghi intermedi tra l’ospedale e il domicilio dove mettere nelle condizioni di svolgere la quarantena tutte quelle persone che non possono farlo in maniera adeguata a casa. Non solo, la capacità di eseguire tamponi dovrà mantenere un livello alto, almeno quello raggiunto negli ultimi giorni, e la Regione dovrà mettere in campo, non appena arriveranno sul mercato prodotti affidabili, un piano per i test sierologici.

 

 

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

Una risposta

  1. ..le amministrazioni comunali sono state mandate allo sbaraglio..(penso ai piccoli paesi come il mio..) nella gestione del territorio senza avere le informazioni corrette..tipo indicazioni tardive dei positivi e di quello in quarantena (a due giorni dalla scadenza cosa cosa posso controllare?)…non parliamo delle RSA che ad oggi gli operatori NON hanno fatto il tampone…almeno nella nostra di Suno…e il primo sportello del cittadino è quello comunale…per qualsiasi bisogno…ed io come amministratore sono in difficoltà a rispondere nel merito….
    il vicesindaco Luigi Nobile

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