Inaugurata la panchina intitolata a Norma Cossetto

L’inaugurazione tra memoria e propaganda

A Novara è comparsa una nuova panchina, dipinta di rosso, bianco e verde come il tricolore. È la “panchina del Ricordo” dedicata a Norma Cossetto, la studentessa istriana di 23 anni appartenente ai Gruppi Fascisti Universitari, uccisa nell’ottobre del 1943 e divenuta nel tempo simbolo delle violenze delle foibe e delle donne vittime di guerra.

L’inaugurazione si è svolta ieri mattina, 5 ottobre, davanti a una piccola folla, alla presenza di rappresentanti istituzionali e del Comitato 10 febbraio, promotore dell’iniziativa. Un evento solenne, sostenuto da regione, provincia e comune e quest’anno anche dalla presidenza del Consiglio dei Ministri.

Cristina Avvignano, rappresentante locale del Comitato, ha parlato di «orgoglio e dovere di testimoniare la vicinanza a Norma, che preferì morire piuttosto che rinnegare la patria». Parole intense, ma intrise di quella retorica nazionalista che accompagna da tempo la memoria di Cossetto, evocata più come eroina che come vittima, più come simbolo identitario che come essere umano travolto dalla guerra. «Gli aguzzini di Norma volevano cancellarne il ricordo – ha detto – ma le hanno consegnato l’immortalità».

Accanto a lei, il vicesindaco Ivan De Grandis (Fratelli d’Italia) ha ricordato gli esuli giuliano-dalmati approdati a Novara dopo la guerra: «La nostra città ha dato casa e futuro a tanti italiani due volte». Poi l’affondo: «Per decenni non si è parlato di questi fatti per convenienze politiche. Ora dobbiamo portarli nelle scuole». È una narrazione ormai consolidata: quella di una verità negata, di un silenzio imposto dalla sinistra, di un riscatto tardivo affidato alla destra.

A prendere la parola anche Mauro Gigantino, consigliere comunale e provinciale, che ha ringraziato chi ha sostenuto la mozione per la panchina e ha confessato di aspettarsi maggior partecipazione. «C’è ancora tanta gente che non conosce la storia di Norma. Qualcuno dice che i simboli non servono, ma senza simboli non esistiamo» ha dichiarato. Infine Giulia Negri, assessora alle Pari Opportunità, ha provato a restituire un tono più inclusivo: «Norma non è sola – ha detto – è il simbolo di tante donne che hanno subito violenza».

Eppure, dietro l’appello all’unità e al ricordo condiviso, resta la sensazione che Norma Cossetto venga ancora raccontata attraverso un filtro di appartenenza. Anche a Novara – dove non sono mancati i saluti “gladiatori” tra i partecipanti – la memoria si è mescolata con l’autocelebrazione, il dolore con la propaganda.

Ogni parola pronunciata sembrava portare con sé il peso di un sottotesto: la rivendicazione di una memoria “negata”, il bisogno di ribadire chi ha il diritto di ricordare. Così la figura di Norma, già tragicamente privata della propria vita, rischia di esserlo anche della propria complessità: ridotta a simbolo, a bandiera, a strumento di racconto politico.

Eppure la sua storia – di giovane donna, di vittima, di italiana – non appartiene a nessuno. È parte di una memoria collettiva che dovrebbe unire, non dividere. La panchina tricolore inaugurata a Novara vorrebbe essere un segno di rispetto, ma finisce per riflettere la fragilità della nostra capacità di ricordare senza trasformare la memoria in campo di battaglia.
Sedersi su quella panchina dovrebbe invitare al silenzio, non allo schieramento. Perché Norma Cossetto non è un vessillo: è una ferita ancora aperta nella storia di un Paese che fatica a guardarsi intero.

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Immagine di Luca Galuppini

Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.

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Inaugurata la panchina intitolata a Norma Cossetto

L’inaugurazione tra memoria e propaganda

A Novara è comparsa una nuova panchina, dipinta di rosso, bianco e verde come il tricolore. È la “panchina del Ricordo” dedicata a Norma Cossetto, la studentessa istriana di 23 anni appartenente ai Gruppi Fascisti Universitari, uccisa nell’ottobre del 1943 e divenuta nel tempo simbolo delle violenze delle foibe e delle donne vittime di guerra.

L’inaugurazione si è svolta ieri mattina, 5 ottobre, davanti a una piccola folla, alla presenza di rappresentanti istituzionali e del Comitato 10 febbraio, promotore dell’iniziativa. Un evento solenne, sostenuto da regione, provincia e comune e quest’anno anche dalla presidenza del Consiglio dei Ministri.

Cristina Avvignano, rappresentante locale del Comitato, ha parlato di «orgoglio e dovere di testimoniare la vicinanza a Norma, che preferì morire piuttosto che rinnegare la patria». Parole intense, ma intrise di quella retorica nazionalista che accompagna da tempo la memoria di Cossetto, evocata più come eroina che come vittima, più come simbolo identitario che come essere umano travolto dalla guerra. «Gli aguzzini di Norma volevano cancellarne il ricordo – ha detto – ma le hanno consegnato l’immortalità».

Accanto a lei, il vicesindaco Ivan De Grandis (Fratelli d’Italia) ha ricordato gli esuli giuliano-dalmati approdati a Novara dopo la guerra: «La nostra città ha dato casa e futuro a tanti italiani due volte». Poi l’affondo: «Per decenni non si è parlato di questi fatti per convenienze politiche. Ora dobbiamo portarli nelle scuole». È una narrazione ormai consolidata: quella di una verità negata, di un silenzio imposto dalla sinistra, di un riscatto tardivo affidato alla destra.

A prendere la parola anche Mauro Gigantino, consigliere comunale e provinciale, che ha ringraziato chi ha sostenuto la mozione per la panchina e ha confessato di aspettarsi maggior partecipazione. «C’è ancora tanta gente che non conosce la storia di Norma. Qualcuno dice che i simboli non servono, ma senza simboli non esistiamo» ha dichiarato. Infine Giulia Negri, assessora alle Pari Opportunità, ha provato a restituire un tono più inclusivo: «Norma non è sola – ha detto – è il simbolo di tante donne che hanno subito violenza».

Eppure, dietro l’appello all’unità e al ricordo condiviso, resta la sensazione che Norma Cossetto venga ancora raccontata attraverso un filtro di appartenenza. Anche a Novara – dove non sono mancati i saluti “gladiatori” tra i partecipanti – la memoria si è mescolata con l’autocelebrazione, il dolore con la propaganda.

Ogni parola pronunciata sembrava portare con sé il peso di un sottotesto: la rivendicazione di una memoria “negata”, il bisogno di ribadire chi ha il diritto di ricordare. Così la figura di Norma, già tragicamente privata della propria vita, rischia di esserlo anche della propria complessità: ridotta a simbolo, a bandiera, a strumento di racconto politico.

Eppure la sua storia – di giovane donna, di vittima, di italiana – non appartiene a nessuno. È parte di una memoria collettiva che dovrebbe unire, non dividere. La panchina tricolore inaugurata a Novara vorrebbe essere un segno di rispetto, ma finisce per riflettere la fragilità della nostra capacità di ricordare senza trasformare la memoria in campo di battaglia.
Sedersi su quella panchina dovrebbe invitare al silenzio, non allo schieramento. Perché Norma Cossetto non è un vessillo: è una ferita ancora aperta nella storia di un Paese che fatica a guardarsi intero.

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Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.