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I paradossi di Venere

Un paio di giorni fa, a Napoli, qualcuno ha dato fuoco ad una delle opere d’arte contemporanea più celebri al mondo, la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto. Il primo paradosso, il più evidente, è che per molti, soprattutto per molti di quelli che si indignano, la Venere ha cominciato ad esistere nel momento della sua fine. Non la conoscevano, ma appena si è sparsa la notizia della sua distruzione è cominciata l’indignazione.

Il secondo paradosso è che la maggior parte di quelli che si indignano, darebbe fuoco a tutta l’arte contemporanea (e forse anche agli artisti). Poi c’è un terzo paradosso: la Venere è stata bruciata Napoli, che come diceva Benedetto Croce è un paradiso abitato da demoni, città paradossale per eccellenza, che vorrebbe diventare una capitale dell’arte contempera e per molti versi lo è, ma dove qualcuno distrugge una delle opere più rappresentative. “La Venere degli stracci” è bruciata per mano di qualche balordo, ma, ultimo paradosso, è proprio un gesto così che la pone sul piano di tanti altri capolavori dell’arte che nei secoli sono stati deturpati da pazzi o balordi, come László Tóth, il geologo ungherese che nel 1972 deturpò la Pietà michelangiolesca di San Pietro o come il David colpito da Pietro Cannata nel 1991.

Qualche volta furono gli artisti stessi ad infierire sulle opere, per restare a Michelangelo, fu lui stesso a dare la famosa martellata sul ginocchio del Mosé ora in San Pietro in Vincoli a Roma. Addirittura Filippo Tommaso Marinetti nel suo “Manifesto del Futurismo” affermava di voler dar fuoco ai musei. Quindi, per ora, accontentiamoci di aver visto andare a fuoco la “Venere degli stracci” di Pistoletto. Venere, dea della bellezza, e gli stracci della nostra contemporaneità, erano un magnifico connubio poetico, ma il piromane, chiunque esso sia, consegna direttamente l’opera all’eternità.

(In foto la “Venere degli stracci” in uno scatto al Louvre del 2013)

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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