Il paragone tra la pandemia da coronavirus e la guerra è ormai un argomento sulla bocca di tutti. Forse il confronto può apparire un po’ forzato, ma l’analogia non risuona impropria se pensiamo a questo singolare e drammatico 25 Aprile: la libertà negata, l’incertezza, l’elogio degli eroi sul campo di battaglia, la condivisione del disastro globale. Si pensi solo alla Lombardia dove il covid ha ucciso cinque volte di più rispetto alla Seconda guerra mondiale.
Ma come ogni conflitto che si rispetti, anche questo ha la sua data di dichiarazione di guerra: per l’Italia è stata il 23 febbraio 2020, il giorno in cui abbiamo preso coscienza che il nemico, che fino a quel momento ci sembrava lontano e straniero, in realtà era entrato anche in casa nostra.
Sono trascorsi 62 giorni e la nostra Resistenza non è ancora finita, anzi abbiamo appena cominciato a capire che la libertà non è così scontata e che l’indipendenza che percepiamo come diritto acquisito deriva dalla nostra carta costituzionale che in pochi conoscono davvero e che, invece, oggi, tutti siamo pronti a invocare come salvacondotto in nome dell’autonomia individuale.
In molti auspicavano che il 25 aprile 2020 potesse rappresentare la Liberazione dal coronavirus; così però non è stato. 75 anni anni ci dividono dal quel 25 Aprile che ci ha permesso di ricostruire l’Italia e di sentirci liberi. E questo deve essere il monito per il nostro 25 Aprile: quello voluto dai nostri nonni (o i nostri genitori, a seconda dell’età che abbiamo) che oggi stanno morendo, deve rappresentare un’esortazione per uno sforzo unitario, anche e soprattutto nel rispetto della memoria di chi se ne sta andando e ci ha indicato la strada da percorrere dopo la tragedia della guerra.
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