Dopo la riflessione della psicologa Marta Iatta sull’importanza di un’educazione affettiva capace di prevenire la violenza di genere, e la posizione netta dell’AIED Novara, che ha definito «un atto di disimpegno dello Stato» la stretta del ministro Giuseppe Valditara, il dibattito si allarga al mondo del terzo settore.
«Non basta insegnare nozioni: oggi serve un’educazione alle relazioni». Esordisce così Elia Impaloni, presidente della cooperativa Liberazione e Speranza, che da anni a Novara lavora su accoglienza, fragilità e inclusione, nel commentare il dibattito nazionale sull’insegnamento dell’educazione sessuale a scuola.
Dopo l’emendamento al ddl Valditara approvato in commissione cultura che limita l’intervento di esperti esterni e subordina i progetti all’autorizzazione dei genitori il ministro ha ribadito la volontà di «tutelare le famiglie» e «impedire derive ideologiche come la teoria gender».
Per Impaloni, però, il tema va letto a un livello più alto: non è solo una questione di programmi scolastici, ma di come la società nel suo insieme – famiglie, scuole, istituzioni – accompagna bambini e ragazzi nella costruzione di relazioni sane. «Viviamo in un contesto in cui molte relazioni sono destrutturate – spiega – e mancano percorsi che insegnino ai giovani, e spesso anche agli adulti, a riconoscere emozioni, confini, responsabilità reciproche. Se non impariamo a leggere le relazioni, ogni intervento di educazione sessuale intesa solo come prevenzione del rischio rimane parziale».
Da qui la proposta: sviluppare competenze relazionali diffuse, non solo nei ragazzi, ma anche negli adulti che li accompagnano. «Dal controllo delle emozioni alla gestione dei conflitti, dal rispetto dei confini al riconoscimento del consenso – continua Impaloni – serve un lavoro che integri più agenzie educative. La scuola è fondamentale, ma non può essere l’unica: la famiglia resta la prima agenzia formativa, e la comunità deve fare la sua parte».
Per la presidente di Liberazione e Speranza, il vero nodo è restituire agli adulti un ruolo attivo e consapevole nel processo educativo: «Gli insegnanti non sono terapeuti né consulenti affettivi, ma possono collaborare con famiglie, servizi e associazioni per costruire percorsi condivisi. L’educazione alle relazioni è una responsabilità collettiva: riguarda tutti gli adulti, perché tutti, in qualche modo, siamo dei modelli».
La conclusione è un invito a tornare a un’alleanza educativa tra generazioni e istituzioni: «La scuola, la famiglia e il territorio devono tornare a parlarsi, riconoscendo che ogni luogo può essere educativo se abitato da adulti consapevoli. Solo così potremo offrire ai ragazzi un orizzonte di fiducia. L’educazione non è delega, ma corresponsabilità».















