Stretta su educazione sessuale a scuola, la parola alla psicologa Marta Iatta. Il dibattito a Novara

Dopo le parole del ministro Valditara. «Serve ascolto, non divieti»

Il dibattito sull’educazione affettiva e sessuale nelle scuole è tornato al centro dell’attenzione dopo le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha ribadito il divieto per gli istituti di promuovere corsi o incontri sul tema con enti esterni senza il consenso dei genitori. Una scelta che si pone come obiettivo quello di «tutelare la libertà educativa delle famiglie», ma che ha sollevato interrogativi anche nel novarese sulle ricadute concrete per studenti e insegnanti.

Per approfondire le implicazioni di questa decisione, abbiamo raccolto i punti di vista di professionisti e realtà del territorio impegnate nell’educazione e nel sostegno ai giovani. Tra loro Marta Iatta, psicologa e formatrice psicodinamica in ambito istituzionale, che invita a spostare il focus dal dibattito politico alla sostanza educativa: la costruzione di relazioni sane come strumento di prevenzione e crescita personale.

«L’educazione affettiva e sessuale a scuola va fatta con competenza e con il coinvolgimento attivo degli insegnanti». Così Marta Iatta, che è stata dottoranda di ricerca all’Università di Torino con il professor Giorgio Blandino e che si occupa tra le altre cose della formazione delle operatrici dei centri antiviolenza, commenta le recenti dichiarazioni del ministro Valditara, sottolineando un tema spesso trascurato: chi e come accompagna i ragazzi nella costruzione di relazioni sane.

Secondo Iatta, l’educazione affettiva non si limita a trasmettere conoscenze, ma implica la capacità di riconoscere l’altro come diverso da sé, rispettarne punti di vista e limiti. «Oggi molti adulti faticano a distinguere le emozioni dei ragazzi dalle proprie proiezioni personali. Il passaggio dalla famiglia tradizionale a quella più affettiva e autorevole ha generato scenari culturali nuovi, spesso caratterizzati da narcisismo e difficoltà a riconoscere la differenza», osserva la psicoterapeuta. Questo fenomeno può portare a rapporti genitore-figlio dove la relazione si confonde con il bisogno di approvazione o di controllo, rendendo difficile educare senza proiettare su di loro le proprie ansie o fallimenti.

Il rischio è evidente anche nelle relazioni tra adolescenti: «I ragazzi non sono allenati a gestire frustrazioni, emozioni negative o differenze dall’altro. Questo genera dipendenze affettive, incapacità di costruire relazioni equilibrate e, nei casi più estremi, violenza o manipolazione». Iatta sottolinea che educare alla regolazione emotiva è prevenzione: permette di affrontare rabbia, delusioni e dolore senza cedere a comportamenti distruttivi o ossessivi. Ma significa anche provare a rompere la catena della violenza di genere.


«Non possiamo continuare a dire alle ragazze di stare attente o di denunciare – aggiunge – senza occuparci della prevenzione dei maltrattamenti al maschile. Molte donne raccontano di compagni che avevano già usato violenza fisica o sessuale contro partner precedenti. È una realtà che va riconosciuta e affrontata, anche con percorsi che aiutino gli uomini a prendere consapevolezza dei propri comportamenti e a tenerli sotto controllo».

Per questo, secondo la psicoterapeuta, è essenziale che l’educazione affettiva sia portata avanti da professionisti competenti, come psicologi, in rete con insegnanti e comunità di riferimento. «Gli adulti devono essere formati per riconoscersi come tali e accompagnare i ragazzi senza sostituirsi a loro o vederli come proiezioni di sé», spiega. Solo così le scuole e altri luoghi di aggregazione possono diventare veri spazi di apprendimento relazionale.

«Rinunciare a introdurre questi percorsi per timore che “estranei” entrino in classe mette a rischio i ragazzi: il vuoto educativo viene colmato da rapporti tra pari e dal mondo digitale, spesso inadeguati a sviluppare competenze emotive e affettive. Occorre costruire luoghi reali di formazione e ascolto dove i ragazzi possano confrontarsi, vivere emozioni e imparare a relazionarsi in sicurezza» conclude Iatta.

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Immagine di Luca Galuppini

Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.

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Stretta su educazione sessuale a scuola, la parola alla psicologa Marta Iatta. Il dibattito a Novara

Dopo le parole del ministro Valditara. «Serve ascolto, non divieti»

Il dibattito sull’educazione affettiva e sessuale nelle scuole è tornato al centro dell’attenzione dopo le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che ha ribadito il divieto per gli istituti di promuovere corsi o incontri sul tema con enti esterni senza il consenso dei genitori. Una scelta che si pone come obiettivo quello di «tutelare la libertà educativa delle famiglie», ma che ha sollevato interrogativi anche nel novarese sulle ricadute concrete per studenti e insegnanti.

Per approfondire le implicazioni di questa decisione, abbiamo raccolto i punti di vista di professionisti e realtà del territorio impegnate nell’educazione e nel sostegno ai giovani. Tra loro Marta Iatta, psicologa e formatrice psicodinamica in ambito istituzionale, che invita a spostare il focus dal dibattito politico alla sostanza educativa: la costruzione di relazioni sane come strumento di prevenzione e crescita personale.

«L’educazione affettiva e sessuale a scuola va fatta con competenza e con il coinvolgimento attivo degli insegnanti». Così Marta Iatta, che è stata dottoranda di ricerca all’Università di Torino con il professor Giorgio Blandino e che si occupa tra le altre cose della formazione delle operatrici dei centri antiviolenza, commenta le recenti dichiarazioni del ministro Valditara, sottolineando un tema spesso trascurato: chi e come accompagna i ragazzi nella costruzione di relazioni sane.

Secondo Iatta, l’educazione affettiva non si limita a trasmettere conoscenze, ma implica la capacità di riconoscere l’altro come diverso da sé, rispettarne punti di vista e limiti. «Oggi molti adulti faticano a distinguere le emozioni dei ragazzi dalle proprie proiezioni personali. Il passaggio dalla famiglia tradizionale a quella più affettiva e autorevole ha generato scenari culturali nuovi, spesso caratterizzati da narcisismo e difficoltà a riconoscere la differenza», osserva la psicoterapeuta. Questo fenomeno può portare a rapporti genitore-figlio dove la relazione si confonde con il bisogno di approvazione o di controllo, rendendo difficile educare senza proiettare su di loro le proprie ansie o fallimenti.

Il rischio è evidente anche nelle relazioni tra adolescenti: «I ragazzi non sono allenati a gestire frustrazioni, emozioni negative o differenze dall’altro. Questo genera dipendenze affettive, incapacità di costruire relazioni equilibrate e, nei casi più estremi, violenza o manipolazione». Iatta sottolinea che educare alla regolazione emotiva è prevenzione: permette di affrontare rabbia, delusioni e dolore senza cedere a comportamenti distruttivi o ossessivi. Ma significa anche provare a rompere la catena della violenza di genere.


«Non possiamo continuare a dire alle ragazze di stare attente o di denunciare – aggiunge – senza occuparci della prevenzione dei maltrattamenti al maschile. Molte donne raccontano di compagni che avevano già usato violenza fisica o sessuale contro partner precedenti. È una realtà che va riconosciuta e affrontata, anche con percorsi che aiutino gli uomini a prendere consapevolezza dei propri comportamenti e a tenerli sotto controllo».

Per questo, secondo la psicoterapeuta, è essenziale che l’educazione affettiva sia portata avanti da professionisti competenti, come psicologi, in rete con insegnanti e comunità di riferimento. «Gli adulti devono essere formati per riconoscersi come tali e accompagnare i ragazzi senza sostituirsi a loro o vederli come proiezioni di sé», spiega. Solo così le scuole e altri luoghi di aggregazione possono diventare veri spazi di apprendimento relazionale.

«Rinunciare a introdurre questi percorsi per timore che “estranei” entrino in classe mette a rischio i ragazzi: il vuoto educativo viene colmato da rapporti tra pari e dal mondo digitale, spesso inadeguati a sviluppare competenze emotive e affettive. Occorre costruire luoghi reali di formazione e ascolto dove i ragazzi possano confrontarsi, vivere emozioni e imparare a relazionarsi in sicurezza» conclude Iatta.

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Luca Galuppini

24 anni, laureato con lode in Politics, Philosophy and Public Affairs presso l'Università degli Studi di Milano, lavora come addetto stampa.