Cambiamenti climatici e pandemie: cambiare prima che sia troppo tardi

Qualsiasi tentativo di rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire a meno che non si affrontino l’interfaccia critica tra persone e agenti patogeni e la minaccia esistenziale del cambiamento climatico, che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile.
(Ghebreyesus T.A., DG dell’OMS. Discorso alla 73a Assemblea mondiale della Sanità. 18 maggio 2020)

In questo momento, in cui siamo completamente concentrati sulla nuova diffusione della pandemia COVID19 e sulla vaccinazione di massa, trascuriamo di prendere in considerazione e di cercare di rimuovere quelle che rappresentano le maggiori minacce alla nostra salute, che rischiano di fare emergere in un prossimo futuro ulteriori eventi catastrofici, tra cui altre pandemie ancora più minacciose.

Come afferma Ernesto Burgio, la pandemia non è solo un evento accidentale, causato da un agente patogeno particolarmente virulento che si è casualmente diffuso in pochi mesi uccidendo due milioni e mezzo di persone, ma rappresenta anche una tappa particolarmente drammatica di una “malattia cronica”, che riguarda l’intera ecosfera e che è stata irresponsabilmente prodotta, nel giro di pochi decenni, da una vera e propria “Guerra alla Natura” da parte di una singola specie: Homo sapiens sapiens.

Appare infatti sempre più evidente la connessione tra l’attuale pandemia, il riscaldamento terrestre e la perdita di biodiversità.

Disponiamo di prove scientifiche solide indicanti che le stesse attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità causano anche il rischio di pandemia attraverso i loro impatti sull’ambiente. “La nostra impronta ecologica ci avvicina sempre di più alla fauna selvatica in aree prima inaccessibili del pianeta, il commercio, anche per collezionismo, porta questi animali nei centri urbani. La costruzione di strade con un ritmo senza precedenti comporta in molte aree una deforestazione senza seguire criteri di sostenibilità, al tempo stesso la bonifica e lo sfruttamento massiccio dei territori per fini agricoli, nonché i viaggi e il commercio ormai globale, ci rendono estremamente sensibili ai patogeni come i coronavirus” (Peter Daszak, 2020).

E tutti gli organismi scientifici nazionali e internazionali sono concordi nel ritenere che i mutamenti climatici conseguenti al riscaldamento terrestre rappresentano la più grande minaccia per la salute dell’uomo.

È dunque indispensabile che gli investimenti previsti dal Recovery Plan siano prioritariamente indirizzati verso la tutela dell’ambiente e della biodiversità in ossequio all’approccio sistemico denominato “One Health”. Secondo tale approccio la salute riguarda la vita in tutti i suoi aspetti, e pertanto i diversi settori dell’organizzazione sociale (economia, commercio, trasporti, urbanistica, agricoltura, lavoro, istruzione, salute, ecc.) devono integrarsi e cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi.

Slow Medicine ha contribuito a realizzare e ha sottoscritto un documento, messo a punto da un gruppo di esperti di Ambiente e Salute, che individua proposte di miglioramento da introdurre nel Recovery Plan tra cui:

– indicare in modo chiaro ed esplicito che il principale obiettivo del Piano è quello della conservazione dei servizi eco-sistemici di supporto alla vita, dando priorità agli interventi di abbattimento dell’inquinamento secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, perseguendo il miglioramento della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo
– favorire in modo deciso il ricorso alle fonti rinnovabili di energia, in particolare eoliche e solari, senza facilitare passaggi intermedi verso il consumo di metano e di biomasse
disincentivare l’uso di imballaggi e bottiglie di plastica stabilendo un periodo di tempo massimo per la loro riconversione
– incentivare una nuova mobilità ponendo come obiettivo prioritario lo spostamento di quote definite di mobilità privata verso la bicicletta/a piedi attraverso un Piano nazionale di realizzazione di percorsi pedonali
– evitare in ogni modo forme di turismo insostenibili e di massa incompatibili con la fragilità e la delicatezza dei numerosi piccoli borghi, delle aree protette, dei beni naturalistici e delle opere artistiche e archeologiche sparse sul territorio
– offrire vantaggi economici per le coltivazioni e gli allevamenti biologici ed a filiera corta e per la riconversione degli allevamenti e l’agricoltura intensivi ed a forte impatto sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare
– abbinare gli interventi di ammodernamento delle apparecchiature sanitarie con progetti di contenimento dell’eccesso di prestazioni inappropriate, che rappresentano una delle voci più rilevanti degli sprechi, pari al 20-30% della spesa sanitaria complessiva.

Slow Medicine invita associazioni e singoli cittadini, se lo condividono, ad aderire al documento, già inviato a tutte le Istituzioni nazionali e regionali. QUI il documento.

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Sandra Vernero

Sandra Vernero

Medico chirurgo, cofondatore e presidente Associazione Slow Medicine, coordinatore del progetto "Fare di più non significa fare meglio - Choosing Wisely Italy”

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Cambiamenti climatici e pandemie: cambiare prima che sia troppo tardi

Qualsiasi tentativo di rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire a meno che non si affrontino l'interfaccia critica tra persone e agenti patogeni e la minaccia esistenziale del cambiamento climatico, che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile. (Ghebreyesus T.A., DG dell'OMS. Discorso alla 73a Assemblea mondiale della Sanità. 18 maggio 2020) In questo momento, in cui siamo completamente concentrati sulla nuova diffusione della pandemia COVID19 e sulla vaccinazione di massa, trascuriamo di prendere in considerazione e di cercare di rimuovere quelle che rappresentano le maggiori minacce alla nostra salute, che rischiano di fare emergere in un prossimo futuro ulteriori eventi catastrofici, tra cui altre pandemie ancora più minacciose. Come afferma Ernesto Burgio, la pandemia non è solo un evento accidentale, causato da un agente patogeno particolarmente virulento che si è casualmente diffuso in pochi mesi uccidendo due milioni e mezzo di persone, ma rappresenta anche una tappa particolarmente drammatica di una “malattia cronica”, che riguarda l'intera ecosfera e che è stata irresponsabilmente prodotta, nel giro di pochi decenni, da una vera e propria “Guerra alla Natura” da parte di una singola specie: Homo sapiens sapiens. Appare infatti sempre più evidente la connessione tra l’attuale pandemia, il riscaldamento terrestre e la perdita di biodiversità. Disponiamo di prove scientifiche solide indicanti che le stesse attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità causano anche il rischio di pandemia attraverso i loro impatti sull’ambiente. “La nostra impronta ecologica ci avvicina sempre di più alla fauna selvatica in aree prima inaccessibili del pianeta, il commercio, anche per collezionismo, porta questi animali nei centri urbani. La costruzione di strade con un ritmo senza precedenti comporta in molte aree una deforestazione senza seguire criteri di sostenibilità, al tempo stesso la bonifica e lo sfruttamento massiccio dei territori per fini agricoli, nonché i viaggi e il commercio ormai globale, ci rendono estremamente sensibili ai patogeni come i coronavirus” (Peter Daszak, 2020). E tutti gli organismi scientifici nazionali e internazionali sono concordi nel ritenere che i mutamenti climatici conseguenti al riscaldamento terrestre rappresentano la più grande minaccia per la salute dell’uomo. È dunque indispensabile che gli investimenti previsti dal Recovery Plan siano prioritariamente indirizzati verso la tutela dell’ambiente e della biodiversità in ossequio all’approccio sistemico denominato “One Health”. Secondo tale approccio la salute riguarda la vita in tutti i suoi aspetti, e pertanto i diversi settori dell’organizzazione sociale (economia, commercio, trasporti, urbanistica, agricoltura, lavoro, istruzione, salute, ecc.) devono integrarsi e cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi. Slow Medicine ha contribuito a realizzare e ha sottoscritto un documento, messo a punto da un gruppo di esperti di Ambiente e Salute, che individua proposte di miglioramento da introdurre nel Recovery Plan tra cui: - indicare in modo chiaro ed esplicito che il principale obiettivo del Piano è quello della conservazione dei servizi eco-sistemici di supporto alla vita, dando priorità agli interventi di abbattimento dell’inquinamento secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, perseguendo il miglioramento della qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo - favorire in modo deciso il ricorso alle fonti rinnovabili di energia, in particolare eoliche e solari, senza facilitare passaggi intermedi verso il consumo di metano e di biomasse disincentivare l’uso di imballaggi e bottiglie di plastica stabilendo un periodo di tempo massimo per la loro riconversione - incentivare una nuova mobilità ponendo come obiettivo prioritario lo spostamento di quote definite di mobilità privata verso la bicicletta/a piedi attraverso un Piano nazionale di realizzazione di percorsi pedonali - evitare in ogni modo forme di turismo insostenibili e di massa incompatibili con la fragilità e la delicatezza dei numerosi piccoli borghi, delle aree protette, dei beni naturalistici e delle opere artistiche e archeologiche sparse sul territorio - offrire vantaggi economici per le coltivazioni e gli allevamenti biologici ed a filiera corta e per la riconversione degli allevamenti e l’agricoltura intensivi ed a forte impatto sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare - abbinare gli interventi di ammodernamento delle apparecchiature sanitarie con progetti di contenimento dell’eccesso di prestazioni inappropriate, che rappresentano una delle voci più rilevanti degli sprechi, pari al 20-30% della spesa sanitaria complessiva. Slow Medicine invita associazioni e singoli cittadini, se lo condividono, ad aderire al documento, già inviato a tutte le Istituzioni nazionali e regionali. QUI il documento.

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Sandra Vernero

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Medico chirurgo, cofondatore e presidente Associazione Slow Medicine, coordinatore del progetto "Fare di più non significa fare meglio - Choosing Wisely Italy”