Futuri medici che iniziano il percorso verso la laurea già in reparto, con il camice azzurro dell’Avo per accostarsi subito al malato in quanto persona. E’ l’iniziativa dell’Associazione Volontari Ospedalieri di Novara in collaborazione con la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università del Piemonte Orientale e l’Aou Maggiore della Carità di Novara.
Dopo un corso di formazione con 70 partecipanti, ha coinvolto 55 studentesse e studenti di medicina del biennio pre-clinico, affiancati in qualità di tutor da numerosi volontari dell’Avo, per un complesso di quasi 900 ore di presenza fra i malati. Agli studenti con il solo corso di formazione viene riconosciuto un Credito formativo universitario e a coloro che effettuano il tirocinio di 8 turni due, tutto trascritto sul libretto.
Si tratta di un corso innovativo ed unico in Italia, frutto di un preciso accordo fra le parti, un vero «modello Novara» per dirla subito con le parole di Mauro Campanini, il direttore della Struttura di Medicina Interna 2, sostenitore di lunga data della presenza Avo in ospedale.
I risultati sono stati presentati questo giovedì mattina al Maggiore, presente una rappresentanza degli studenti-volontari, la presidente Danila Finzi e la vice Patrizia Carrera per Avo Novara, il direttore generale dell’azienda ospedaliera Stefano Scarpetta, la referente del corso per l’Upo e genetista Sandra D’Alfonso, i direttori di alcune delle Strutture ospedaliere in cui hanno operato i tirocinanti (Pronto soccorso, Traumatologia, Polo Oncologico, Ematologia, Ginecologia, Cardiologia, Medicina Interna 2 e Psichiatria) e il presidente di Federavo Francesco Colombo.
AVO-MAGGIORE: C’È FEELING
Oltre ai reciproci ringraziamenti sono emersi da tutti soddisfazione e volontà di proseguire l’esperienza negli anni, considerata importante per la formazione dei futuri medici messi da subito in relazione con il malato in quanto persona, carico della propria sofferenza, incertezza, solitudine e timore nell’affrontare l’esperienza ospedaliera, spesso improvvisa.
«E’ un momento difficile della sanità pubblica – ha introdotto Scarpetta – e avere persone che danno una mano nell’assistere i malati è un grande aiuto. Sapere che sono giovanissimi capaci di sottrarre tempo ai propri interessi per dare disponibilità agli altri è apprezzabile e di grande conforto». Quindi con uno sguardo all’Avo, «con cui si è creato un feeling» ha annotato che «voi avete con i malati un rapporto meno professionale ma più empatico». Per questo ha auspicato una piena ripresa del volontariato «affinché sia ancora più presente di prima del Covid, così da coprire più reparti. Da parte nostra tutto il supporto necessario».
Finzi ha quindi espresso «la grande fortuna di aver trovato la collaborazione con azienda e università». «Questo corso – ha aggiunto la presidente di Avo Novara – era una scommessa, prima in Italia, iniziata con 12 studenti nel 2019 e poi bloccata dalla pandemia. Ora si ripropone grazie all’affiancamento di volontari adulti, il cui numero è in crescita, con il valore dello scambio generazionale, per consentire ai giovani studenti l’esperienza dell’ascolto di vite delle persone».
Un “modello Novara” da estendere: «E’ un progetto di grandissimo valore – l’impegno di Colombo – da assumere a carattere nazionale».
Per l’Upo, D’Alfonso ha confermato come «già dal 2019 si coglieva l’importanza di questa collaborazione con il volontariato, svolta con un accurato tutoraggio, quale opportunità di formazione per i nostri studenti, attraverso competenze che si possono acquisire solo sul campo. E’ un progetto strutturato che piacerebbe estendere il più possibile nei primi due anni del corso di laurea».

LE TESTIMONIANZE DEGLI STUDENTI
Significative le esperienze raccontate da alcuni studenti, tra 21 e 23 anni, molti non novaresi ma di province vicine. «Non sapevo come rapportarmi alle persone e alla loro sofferenza – ha detto Chiara Ferè – ma col tempo ho preso a relazionarmi con loro, anche donando una parola, un sorriso, un gesto d’affetto. Ho avuto molti incontri toccanti, in cui ho dato ma anche ricevuto». «È stata un’occasione stupenda. Da sempre ho il desiderio di fare il medico – ha aggiunto Emma Saini – ma non sapevo se fossi in grado di rapportarmi con i malati. Ora grazie all’aiuto dei tutor ho capito come dare il mio tempo in ascolto e presenza».
Ancora Francesco Ghizzardi: «sono partito dall’idea del “prendersi cura”, ma all’inizio temevo di dare fastidio e invece ho visto che sono i malati a cercarci. Mi porto a casa una domanda ricorrente: “Perché proprio a me?”, che mi lascia quasi un senso di impotenza. Occorre dare conforto. È un percorso da fare per dare una dimensione umana alla professione». Infine Dario Cavallo: «Fra i tanti ricordo un signore che mi ha ringraziato per la mia umanità: è necessario un rapporto empatico con il malato».
L’APPREZZAMENTO DEI DIRETTORI DI STUTTURA
Dai direttori delle Strutture è venuto un convinto apprezzamento. Mauro Campanini (Medicina Interna 2) ha raccontato del lungo rapporto strutturato con l’Avo «nel mio reparto dove molti stanno piuttosto male. Il progetto è innovativo per i giovani studenti che iniziano a prendere contatto con questa realtà. È un valore aggiunto». Per Alessandra Gennari (Oncologia) «chi si iscrive a Medicina vuole fare il medico a servizio degli altri e con questo progetto può mettersi subito alla prova». Matteo Bellan (Pronto soccorso) si è detto «entusiasta di accogliere questo volontariato assolutamente importante per il supporto e molto formativo in un reparto che è il momento più traumatico e può conferire un bagaglio sul campo ai futuri medici». Infine Patrizia Zeppegno (Psichiatria) ha sottolineato come «il nostro volontariato nella relazione con i pazienti crea un bel clima nel reparto e questo progetto aiuta a ridurre lo stigma verso di loro».