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Bonaccini scalda il popolo “dem”: «Occorre tornare fra la gente. Ma sempre»

Il presidente della Regione Emilia Romagna, candidato alla segreteria nazionale del Nazareno, è intervenuto ieri sera all'Arengo del Broletto: «Se si vuole fare bene occorre conoscere i luoghi e le persone. Non dobbiamo credere di essere superiori, ma più capaci»

Sold out (circa 250 i presenti) ieri sera, venerdì 27 gennaio, nel Salone dell’Arengo del Broletto per ascoltare Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria nazionale del Pd. Una giornata tutta piemontese di questo tour, che ha visto il presidente dell’Emilia Romagna recarsi in mattinata davanti ai cancelli di Mirafiori («Come si faceva una volta, sconsigliato dai miei collaboratori perché avrei rischiato di prendere qualche fischio, ma se hai pura di questo è meglio che non fai politica») e, dopo la serata novarese, spostarsi a Milano. Oggi e domani sarà infatti presentato ufficialmente nel capoluogo lombardo il suo manifesto – programma con il quale intende rilanciare i “dem” in vista delle prossime scadenze elettorali.


Il suo piccolo e decisamente accettabile ritardo ha permesso una serie di interventi introduttivi, iniziati dalla referente del comitato che lo sostiene, l’ex segretaria provinciale del partito, Ilaria Cornalba, e poi il senatore Enrico Borghi e, in rappresentanza di tanti amministratori locali, la sindaca di Verbania Silvia Marchionini e il consigliere regionale, salutato dalla platea ormai come segretario piemontese in pectore, Domenico Rossi.


Da parte sua Bonaccini, nonostante la stanchezza per una sua campagna personale decisamente impegnativa («Novara è la settantesima città che visito») ha parlato per circa un’ora, ricordando le umili origini della sua famiglia «di militanti del Pci che avevano come punto di riferimento Enrico Berlinguer», ma anche sottolineando il profondo rispetto, all’epoca della prima Repubblica, nei confronti di avversari politici come «Aldo Moro, Tina Anselmi o Benigno Zaccagnini, che i miei genitori consideravano “brave persone”. Allora c’era il riconoscimento di una classe dirigente che aveva saputo ricostruire un’Italia uscita demolita dalla guerra, ma seppe risollevarsi. Non temo di poter essere l’ultimo segretario del Pd – ha aggiunto – ma piuttosto l’irrilevanza alla quale potremo andare incontro. Ci sono però le condizioni per reagire e ripartire, anche se in occasione delle ultime elezioni abbiamo percepito dell’insoddisfazione pure in chi ci ha votato. Ma sono convinto nel nel Paese siano molte di più di quello che crediamo le persone che, se dovessimo fare le cose bene, votare Pd». Da dove ripartire? «Amministriamo quasi il 70 per cento dei Comuni. Questo vuol dire che ci sono tanti elettori che non ci votano alle politiche, ma quando si tratta di un appuntamento per la loro comunità non hanno timore a scegliere i nostri candidati. Anche da loro dobbiamo ripartire. Un Pd in salute è necessario per il Paese, anche per la destra che in questo momento governa».


Il presidente emiliano ha detto di aver scelto come suo slogan le parole “energia popolare” anche «perché dobbiamo tornare a essere un partito che torni a dialogare con la gente. Da troppo tempo la nostra classe dirigente è sparita dai luoghi dove si lavora e studia. Dobbiamo tornare ad avere un contatto fisico con le persone, oggi, domani, dopodomani…».


«Abbiamo bisogno – ha insistito – della necessità di farci trovare. In questi ultimi anni in parecchi ci hanno cercato, non ci hanno trovato e anche se non convinti hanno finito per votare gli altri. Una forza popolare e non populista deve avere il coraggio di ascoltare tutti, perché significa dare dignità a chi ti trovi di fronte. Non dobbiamo credere di essere superiori ma soltanto più capaci. Sono cose che capiscono bene quelli che amministrano, perché sono abituati ad ascoltare che entra ed esce da un bar, da un posto di lavoro, da una scuola, da un ospedale, come da un luogo di divertimento».


Bonaccini ha parlato di un nuovo Pd nella sostanza più che nella forma («non mi interessa cambiare nome o simbolo»), con una promessa. Il rinnovamento della classe dirigente («che non vuol dire per forza “rottamare” qualcuno») passa anche attraverso il cambio della legge elettorale: «Se sarò eletto segretario e non riusciremo a cambiarla farò in modo che i candidati, a Novara come altrove, sarete voi a sceglierli con le primarie. E se avremo lavorato bene chi non ci ha più votato o chi non lo ha mai fatto, verrà a darci il suo consenso».

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Luca Mattioli

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