Prodotta in diciotto comuni dell'Astigiano da uve Barbera, ha ottenuto il massimo riconoscimento come denominazione solo sette anni fa, ma si sta da tempo facendo strada fra i rossi della nostra regione
Quanto si pensa ai vini rossi del Piemonte, tralasciando le denominazioni più familiari del nostro territorio, si è subito portati a immaginare Barolo e Barbaresco. Fra loro, però, da qualche anno a questa parte si sta invece facendo strada il Nizza, una Docg “giovane” (ha ottenuto il marchio di riconoscimento nel 2014, “noviziato” ceduto ora al Terre Alfieri), che trae origine dal distaccamento della sottozona Barbera d’Asti Superiore Nizza dalla Docg Barbera d’Asti.
Prodotto oltre che nella località che le dà il nome in altri diciassette comuni dell’Astigiano meridionale utilizzando esclusivamente uve Barbera, il successo del Nizza ha contribuito a rilanciare non poco l’immagine stessa di questo vitigno autoctono piemontese, le cui prime attestazioni risalgono alla metà del XIII secolo. E’ infatti in un contratto d’affitto datato 1249 e oggi conservato presso l’Archivio capitolare di Casale Monferrato che si parla di “vitibus berbexins”. Nel corso delle fasi storiche successive la crescita fu costante, tanto che agli inizi dell’800 il botanico savonese Giorgio Gallesio, nelle pagine della sua celebre “Pomona italiana”, lo considera il vitigno caratteristico del Monferrato; e ancora mezzo secolo più tardi un altro testo come l’“Ampelografia della provincia di Alessandria” (che all’epoca comprendeva anche quella di Asti) lo definisce “conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del Basso Monferrato, dove è indigeno e da lungo tempo coltivato”. Una popolarità che contribuisce a renderlo il vitigno a bacca nera per antonomasia di tutta la regione, pur conservando quei tratti di popolarità che tendono a identificarlo come il “rosso dei contadini”, un po’ in contrasto con il forse più “nobile” Nebbiolo, base per ottenere Barolo e Barbaresco.
Ed è a quest’ultima denominazione che i vignaioli del Nizza, riuniti in un’associazione che raggruppa una settantina di produttori, puntano per incrementare produzione (650 mila bottiglie nell’anno della pandemia) e commercializzazione. Gelosi comunque di un loro vino, “piccolo”, ma neanche troppo, destinato in ogni caso a crescere.
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