Carpignano Sesia

La carta

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In tutte le famiglie c’è una scatola di latta o di cartone che contiene vecchie fotografie dei genitori, dei nonni o dei bisnonni. Nella mia famiglia era una scatola di latta dei biscotti al Plasmon. Da bambino mi piaceva tanto curiosare in quella scatola. C’erano le fotografie dei miei nonni (pochissime), dei mie genitori (poche), e di me bambino (qualcuna di più). C’erano anche vecchi documenti, cartoline e poco altro. Tra le tante carte per me misteriose c’era anche quella che vedete nella fotografia qui sopra.

 

 

Quando chiedevo alla mamma cosa fosse, la mamma si rabbuiava in volto e mi diceva “Era la carte del pane”. Io, che non ero un’aquila, pensavo fosse la carta con cui si confezionavano i sacchetti del pane. E visto che lei non mi dava ulteriori spiegazioni, continuavo a immaginare che così fosse. Quando capitava che fosse mio padre ad aprire la scatola di latta, anche a lui chiedevo cosa fosse quella carta e lui mi rispondeva: la carta della vergogna. Allora mi si confondevano, ancora di più, le idee e pensavo fosse qualcosa tipo la carta igienica o qualcosa di simile.

Anche la nonna Antonietta spesso metteva le mani in quella scatola per guardare qualche vecchia fotografia. Approfittavo subito e chiedevo: “Nonna cos’è questa carta?” Lei, che era una donna austera e un po’ fredda mi rispondeva che era “La carta della guerra”. Io pensavo, allora,a una mappa o a qualcosa di analogo.

Peggio che andar di notte, carta del pane, carta della vergogna, carta delle guerra, insomma per me il mistero restava insoluto. Finché un giorno chiesi a mio nonno Giovanni cosa fosse quella carta. Lui, con il suo sguardo dolce e comprensivo, mi disse: “È la carta dei fascisti”. Naturalmente chiesi chi fossero i fascisti e il nonno mi disse “Quelli che ci hanno portato in guerra e la guerra porta la fame e siccome c’era la guerra c’era anche poco pane e per averne un pochino dovevi avere questa carta. Ricordatelo Mariulin!” Buon 25 Aprile.


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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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