Heimat, l’album di una famiglia tedesca

Può una tedesca che vive negli Stati Uniti d’America, avere nostalgia della sua Heimat (che possiamo tradurre un po’ forzatamente con “patria”), benché la Heimat della sua infanzia sia stata la Germania nazista? Sì, può. E può a patto che, in qualche modo, come si usa e si abusa dire, faccia i conti col proprio passato. “Heimat” di Nora Krug è un lungo rito di esorcismo che prende la forma di una straordinaria “graphic novel” edita da Einaudi per la collana “Stile libero extra”. Un processo introspettivo e una ricerca sul campo, quello di Nora Krug: il processo introspettivo è mosso dal ricordo e dalla nostalgia delle “cose di casa”, dagli odori (ma questa in letteratura non è una novità), dagli oggetti (e nemmeno questa lo è), dai luoghi (e anche qui andiamo sul già letto e già visto).

 

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Ma quello che nel libro della Krug è decisamente straordinario è la sua lucidità nella ricerca, fatta attraverso documenti famigliari, fotografie, ritagli di giornali, testimonianze, scelti per cercare di provare a sé stessa, e a noi lettori, che lo zio Franz-Karl e il nonno Willie non siano appartenuti alle schiere naziste, persecutrici degli ebrei. Una speranza che è la spina dorsale di tutta la storia, magnificamente disegnata e illustrata e che non disdegna l’apporto di collage, ritagli e varie carte (varie e variabili come avrebbe detto Man Ray).

E come un Kurt Schwitters armato di lucidità e senso della ricerca storica, Nora Krug fonda la sua speranza sull’analisi di una serie di documenti cartacei che costituiscono il “corpus” stesso della narrazione dei propri sentimenti. Willie Rock, ex autista, membro del Partito Popolare Nazionalsocialista, persecutore di ebrei, nonno dell’autrice fu condannato, in quanto criminale nazista, e poi amnistiato. Ma può Nora Krug amare la sua Germania, la città natale di Karlsrhue e avere nostalgia della cose della sua infanzia, provare ancora amore per la sua famiglia di origine, pur essendo consapevole di una scelta di campo così terribile da parte dello zio e soprattutto del nonno?

È in questo tremendo dualismo che si snoda tutto il racconto di questa ricerca, che ha inizio a Brooklyn, dove l’autrice vive e dove, grazie alla testimonianza di alcuni ebrei, incomincia a porsi terribili domande sulla propria famiglia, su suo nonno Willie in particolare, ma anche sullo zio, Franz-Karl Krug, entrato forzatamente nel partito nazista, poi morto e seppellito in Italia. La ricerca e l’indagine sulle convinzioni politiche di nonno Willie passano poi attraverso il mare magnum di Internet e, come prevedibile, restano allo stato della supposizione e sotto il costante turbamento del dubbio. Vi è una storia parallela a quella della ricerca su nonno e zio, ed è la storia degli oggetti perduti dell’infanzia, oggetti profondamente tedeschi, oggetti apparentemente neutri, ma che dànno a Nora Krug la vertigine di una nostalgia, per la terra natia, che sembra essere una peccato originale.

Si tratta di oggetti di uso quotidiano e che, come in uno deposito di reperti giudiziari, vengono denominati “cose tedesche” e che sono inseriti strategicamente all’interno della graphic novel. Ecco comparire allora il cerotto “Hansaplast”, i frutti del bosco, l’immagine di un fungo riprodotto nella guida “Piltz-Führer”, il raccoglitore ad anelli “Leitz”, il pane nero (Schwartzbrot), la borsa dell’acqua calda, il sapone fatto con la cistifellea del bue, la colla “Uhu”. Una formidabile galleria di cose minute che vanno a costituire l’idea stessa di Heimat o semplicemente di casa. Come ricorda la stessa Krug, ”la Heimat si trova solo nel ricordo, che comincia ad esistere quando l’hai già persa”.Così come la Heimat, anche la verità su nonno Willie sfugge: “…Sarebbe più facile gestire la mia vergogna se fossi riuscita a dimostrare la sua colpa e avessi scoperto che fu in tutto e per tutto un nazista, senza ombra di dubbio?” È questo l’interrogativo che Nora Krug lascia in eredità ai tedeschi contemporanei, ancora vittime di quel macigno che pesa sulla loro memoria e sulla coscienza di tutta l’umanità.

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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Può una tedesca che vive negli Stati Uniti d’America, avere nostalgia della sua Heimat (che possiamo tradurre un po’ forzatamente con “patria”), benché la Heimat della sua infanzia sia stata la Germania nazista? Sì, può. E può a patto che, in qualche modo, come si usa e si abusa dire, faccia i conti col proprio passato. “Heimat” di Nora Krug è un lungo rito di esorcismo che prende la forma di una straordinaria “graphic novel” edita da Einaudi per la collana “Stile libero extra”. Un processo introspettivo e una ricerca sul campo, quello di Nora Krug: il processo introspettivo è mosso dal ricordo e dalla nostalgia delle “cose di casa”, dagli odori (ma questa in letteratura non è una novità), dagli oggetti (e nemmeno questa lo è), dai luoghi (e anche qui andiamo sul già letto e già visto).   [the_ad id="62649"]   Ma quello che nel libro della Krug è decisamente straordinario è la sua lucidità nella ricerca, fatta attraverso documenti famigliari, fotografie, ritagli di giornali, testimonianze, scelti per cercare di provare a sé stessa, e a noi lettori, che lo zio Franz-Karl e il nonno Willie non siano appartenuti alle schiere naziste, persecutrici degli ebrei. Una speranza che è la spina dorsale di tutta la storia, magnificamente disegnata e illustrata e che non disdegna l’apporto di collage, ritagli e varie carte (varie e variabili come avrebbe detto Man Ray). E come un Kurt Schwitters armato di lucidità e senso della ricerca storica, Nora Krug fonda la sua speranza sull’analisi di una serie di documenti cartacei che costituiscono il “corpus” stesso della narrazione dei propri sentimenti. Willie Rock, ex autista, membro del Partito Popolare Nazionalsocialista, persecutore di ebrei, nonno dell’autrice fu condannato, in quanto criminale nazista, e poi amnistiato. Ma può Nora Krug amare la sua Germania, la città natale di Karlsrhue e avere nostalgia della cose della sua infanzia, provare ancora amore per la sua famiglia di origine, pur essendo consapevole di una scelta di campo così terribile da parte dello zio e soprattutto del nonno? È in questo tremendo dualismo che si snoda tutto il racconto di questa ricerca, che ha inizio a Brooklyn, dove l’autrice vive e dove, grazie alla testimonianza di alcuni ebrei, incomincia a porsi terribili domande sulla propria famiglia, su suo nonno Willie in particolare, ma anche sullo zio, Franz-Karl Krug, entrato forzatamente nel partito nazista, poi morto e seppellito in Italia. La ricerca e l’indagine sulle convinzioni politiche di nonno Willie passano poi attraverso il mare magnum di Internet e, come prevedibile, restano allo stato della supposizione e sotto il costante turbamento del dubbio. Vi è una storia parallela a quella della ricerca su nonno e zio, ed è la storia degli oggetti perduti dell’infanzia, oggetti profondamente tedeschi, oggetti apparentemente neutri, ma che dànno a Nora Krug la vertigine di una nostalgia, per la terra natia, che sembra essere una peccato originale. Si tratta di oggetti di uso quotidiano e che, come in uno deposito di reperti giudiziari, vengono denominati “cose tedesche” e che sono inseriti strategicamente all’interno della graphic novel. Ecco comparire allora il cerotto “Hansaplast”, i frutti del bosco, l’immagine di un fungo riprodotto nella guida “Piltz-Führer”, il raccoglitore ad anelli “Leitz”, il pane nero (Schwartzbrot), la borsa dell’acqua calda, il sapone fatto con la cistifellea del bue, la colla “Uhu”. Una formidabile galleria di cose minute che vanno a costituire l’idea stessa di Heimat o semplicemente di casa. Come ricorda la stessa Krug, ”la Heimat si trova solo nel ricordo, che comincia ad esistere quando l’hai già persa”.Così come la Heimat, anche la verità su nonno Willie sfugge: “...Sarebbe più facile gestire la mia vergogna se fossi riuscita a dimostrare la sua colpa e avessi scoperto che fu in tutto e per tutto un nazista, senza ombra di dubbio?” È questo l’interrogativo che Nora Krug lascia in eredità ai tedeschi contemporanei, ancora vittime di quel macigno che pesa sulla loro memoria e sulla coscienza di tutta l’umanità.

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