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Elogio dell’Umarell

Non mi piace il termine “umarell” o meglio, detesto l’uso dispregiativo che se ne fa, ma devo ammettere che rende l’idea. Un uomo ormai inattivo, un pensionato il più delle volte, un uomo inerme, magari anche di aspetto un po’ dimesso, che guarda attraverso la recinzione di un cantiere per ingannare il tempo. Ebbene, non la penso affatto come, probabilmente, la maggior parte di Voi. A mio modo di vedere l’umarell è una figura epica, grandiosa, poetica. L’umarell è colui che è tornato in possesso del proprio tempo, liberato dalla schiavitù del lavoro, e che grazie a ciò compie l’atto più significativo della vita: guardare.

In fondo anche la vita stessa cominciò con l’atto di vedere qualcosa: Fiat Lux! E l’umarell guarda l’inguardabile, cioè la “creazione”. Nell’atto di dar vita a qualcosa l’uomo è l’immagine di Dio, anche Dio plasmò Adamo e gli insufflò la vita. La differenza sta nel fatto che Dio diede vita al mondo per un atto di amore, mentre l’uomo deve creare (e lavorare), per poter sopravvivere. Ma quello che è certo è che guardare chi dà vita a qualcosa è sempre un atto di amore e di ricerca dell’intellegibile.

L’umarell altro non è che una variante statica del “flâneur”, colui che è padrone del suo tempo e che lo “dissipa” passeggiando attraversando la metropoli alla ricerca del nulla, ma aperto a tutte le suggestioni e a tutti gli accadimenti. L’umarell che guarda non è un contemplatore del “creato”, ma un osservatore del “creare”, una figura molto vicina a quella dell’apparentemente più raffinato voyeur. Vedere il chiodo che entra nell’asse di legno con un colpo secco e deciso del carpentiere procura all’umarel una “soddisfazione traslata”: vorrebbe essere lui ad avere quella maestria, quella intelligenza pratica. L’umarell ammira le mani esperte dell’operaio che poggia dei cavi o che liscia un manto stradale, perché, come ammoniva Karl Marx, il lavoro è il prodotto della mano dell’uomo, ma anche la mano dell’uomo è il prodotto del suo lavoro.

L’umarell tutto questo lo sa, poiché è intrinsecamente saggio, e gli stupidi siamo noi che stiamo qui a motteggiarlo per la sua apparente inattività. La storia delle filosofia e della letteratura sono pieni di umarell. Non era forse in atteggiamento da umarell quello di Isaak Newton mentre vedeva cadere la mela dall’albero? Chi era Louis Aragon mentre osservava tutte le insegne dei passages parigini? E che dire de “L’uomo che guardava passare i treni” di Georges Simenon? E chi è, se non un eccentrico umarell, il Peter Handke di “Il mio anno nella baia di nessuno?” Cosa faceva Werner Herzog nel suo “Sentieri nel ghiaccio”? Persino Henri Cartier-Bresson dedicò al soggetto-umarell una sua celeberrima fotografia. L’umarell, cari miei, è una grandissima figura del nostro tempo e anche dei tempi passati. E allora un po’ di dovuto rispetto all’uomo che guarda. E chi siete tutti voi che guardate dentro questo schermo per vedere scorrere la vita altrui? Umarell di tutto il mondo unitevi.

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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