Come sempre, nella loro natura, i referendum abrogativi dividono le forze politiche ma anche i cittadini stessi in modo forte e trasversale. In modo forte perché il referendum richiede sì o no senza sfumature, essendo solo abrogativo e in modo trasversale perché si appellano direttamente alle coscienze e alle opinioni dei cittadini anche a prescindere dal partito per cui votano in genere.
Un elettore di centrosinistra potrebbe essere contrario a ridurre i tempi per conseguire la cittadinanza italiana anche se il Pd è favorevole ma un elettore di centrodestra potrebbe essere favorevole a maggiori tutele per i lavoratori dipendenti anche se i partiti di destra sono contrari
La storia dei referendum dimostra che non si può legare troppo strettamente voto politico e voto referendario.
A complicare il tutto c’è però il quorum: se a un referendum partecipa meno del 50% più uno degli aventi diritto il referendum non è valido. Il quorum lo vollero i costituenti per evitare che una minoranza di elettori potesse abolire leggi approvate dal Parlamento e quindi dalla maggioranza degli elettori stessi, una cosa però meno valida con sistemi elettorali maggioritari che attribuiscono più seggi allo schieramento che ha più voti anche se non è stato votato dal 50% più uno degli elettori.
Quando il referendum iniziò la sua storia, era previsto in Costituzione dal 1946, ma il primo fu solo quello sulla legge del divorzio nel 1974: la partecipazione elettorale era molto alta, votò più dell’ 80% degli aventi diritto mentre le ultime elezioni locali hanno visto anche grandi metropoli con una partecipazione al voto inferiore al 50%.
Parlare di invito all’astensione era impossibile nel 1974 poiché c’era una unanimità di consensi a destra come a sinistra sul fatto che il voto fosse un dovere sacro, costato a caro prezzo, e che tutti dovessero votare per esprimere la propria preferenza.
In seguito la stessa Corte Costituzionale ha ammesso che essendo previsto per i referendum un quorum, che invece per le elezioni politiche non esiste, anche invitare l’elettorato ad astenersi è legittimo come votare sì oppure no.
A questo punto tutte le forze politiche e sociali non hanno saputo resistere, almeno una volta tutte , alla tentazione di far fallire il quorum e quindi il referendum quando hanno temuto di non riuscire a riportare un voto corrispondente ai loro desideri o obiettivi .
La partecipazione, già bassa a causa dell’invecchiamento della popolazione sempre più scettica nei confronti dei politici, della scomparsa del voto di preferenza con candidati imposti dai partiti e della fine delle forti contrapposizioni ideologiche, viene giudicata negativamente da tutti i partiti quando si tratta di elezioni, mentre nei referendum è spesso invocata dagli stessi partiti a seconda delle convenienze del momento.
Questo modo differente di apprezzare o disprezzare l’astensione o la partecipazione in modo opportunistico però rischia alla lunga di generare ulteriore confusione e di allontanare sempre di più gli elettori da tutte le consultazioni elettorali in genere, un fatto sempre deleterio per istituzioni democratiche che hanno autorevolezza solo in base ai consensi reali che i cittadini esprimono.