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Una chiesa sconsacrata per Nu Arts and Community

no spettacolo dove danza/suono/parola/immagine sembrano appartenere ad una stessa scaturigine

Una sera uggiosa di inizio autunno, l’interno di una antica chiesa sconsacrata, due danzatori/musicisti/performers: dove potrebbe essere più profondo quello che Marcel Dufrenne chiamava “il senso del poetico”? Quello che stanno per mettere in scena Irene Russolillo e Edoardo (danza, canto, voce) Sansonne/Kawabate, (elettronica) si intitola “Dov’è più profondo” e, benché in un caso si tratti di architetture e atmosfere e nel secondo di canti e corpi, di suoni e musica, anche qui si tratta di “profondità” abissali che ci ritemprano della banalità del mondo. Anche venerdì quindi, per la terza giornata del festival di “Nu Arts and Community”, raffinate emozioni e godimenti non solo estetici. Uno spettacolo dove danza/suono/parola/immagine sembrano appartenere ad una stessa scaturigine.

Il corpo di Irene Russolillo incomincia a muoversi sulla scena sgombra di tutto ma per nulla vuota, allo stesso ritmo della respirazione e del suono che, che facendosi strada nel suo corpo, induce anche il movimento. Dapprima sono movimenti lenti, supportati da uno straordinario equilibrio, poi diventano più stridenti, apparentemente disarmonici, ma sempre pregni di senso, quasi un rituale sacro di suoni e movimenti che vengono dal profondo e vanno diretti nel profondo della nostra anima.

Uno “spech”, di cui è difficile comprendere le parole poiché velocizzato e che contrasta coi movimenti lenti e solenni del corpo, suggella la prima parte dello spettacolo. Nel prosieguo , mentre su uno schermo passano le immagini di montagne e nevi e ghiacci eterni (beati i tempi in cui le nevi e i ghiacci erano eterni) e di antichi abitanti delle montagne, la salmodia di Irene Russolillo, fa vibrare tutte le corde dell’anima. Un’ora abbondante di emozioni “in purezza” di due grandissimi performers. Sabato mattina è il quadriportico della canonica del Duomo ad ospitare uno di quei concerti che si possono definire a torto o a ragione “di nicchia” (secondo me a torto, perché la nicchia è solo quella che le persone scavano nel proprio cervello).

Si tratta del concerto in solo di Ghenadie Rotari, giovane fisarmonicista moldavo con un’ampia esperienza internazionale (si è esibito in luoghi culto della musica internazionale dalla Carnagie Hall di Nyc alla Berliner Philarmonie), con un repertorio molto variegato che comprende brani per fisarmonica e brani frutto di riscritture da partiture classiche. Tra i primi magnifica la composizione di Daniela Terranova, in prima esecuzione assoluta, ispirato alle tele di Mark Rothko, poi “Milonga preludes” di Astor Piazzolla, segue una pregevolissima composizione di Gabriele Vanoli sulla nascita e morte del suono e un brano di Vladimir Zubitsky, compositore ucraino di spartiti per fisarmonica. Per le riscritture da partiture classiche una sublime reinterpretazione di un brano di musica barocca di Jean-Philippe Rameau.

Insieme alla musica e alla straordinaria bravura di Ghenadie Rotari, in questo dolce sabato mattina autunnale, fa molto il silente Chiostro della Canonica che, come unico elemento di (piacevole) disturbo, ha solo, a mezzogiorno, il possente scampanio del campanile del Duomo di Novara. Peccato per chi non c’era…

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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