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Un viaggio tra le sale del castello insieme a Boldini, De Nittis e ai pittori italiani a Parigi

A cinque anni dalla mostra “Ottocento in collezione. Dai Macchiaioli a Segantini”, prima esposizione di grande respiro che aveva affascinato i visitatori con oltre 80 capolavori di pittura e scultura dalle collezioni private facendo emergere anche le fortune collezionistiche degli artisti a partire dalla fine del XIX secolo sia in Italia sia all’estero, le sale espositive del Castello di Novara con “Boldini, De Nittis e les Italiens de Paris” questa volta ci permettono di immergerci nell’atmosfera della capitale della Belle Époque, raccontata attraverso le vibranti pennellate e gli attenti sguardi di alcuni protagonisti di quell’importante stagione artistica, culturale e sociale che avrebbe in realtà segnato, con il 1914, la fine del mondo moderno.
Grazie all’accurata selezione delle 87 opere provenienti sia da collezioni private sia da raccolte pubbliche e fondazioni effettuata dalla curatrice, Elisabetta Chiodini, e dal comitato scientifico che ha curato questo nuovo evento proposto da Mets, Fondazione Castello e Comune di Novara, fin dalla prima sala si coglie la luminosa carriera dei pittori italiani a Parigi, di cui viene presentata l’evoluzione stilistica che passa attraverso le mode orientaliste, neosettecentesche e neopompeiane, per arrivare alla celebrazione di tutti gli aspetti della vita quotidiana della mondana e frenetica capitale che emergono dalle opere eleganti, misurate e raffinate.
La prima sezione è dedicata a “I pittori italiani alla conquista del mercato internazionale”, con 16 opere di 11 artisti che lavorarono con successo per quel mercato, influenzando poi quello italiano.

Tra i dipinti spiccano “Un mercato a Costantinopoli” di Alberto Pasini e “La Maddalena” di Domenico Morelli, già ammirati in queste sale, e la piccola tela di “Processione in campagna” di Telemaco Signorini che, grazie alle ricerche effettuate per questa mostra, si è ricollocata correttamente nel corpus delle opere del pittore toscano. Inoltre, due capolavori di Francesco Paolo Michetti, “Processione del Corpus Domini a Chieti” e “La mattinata”, che documentano le festività religiose e il folklore abruzzesi: mai più riunite dopo l’esposizione di Berlino del 1891, queste vibranti opere testimoniano la genialità del pittore di filtrare il moderno e di farlo suo, con uno stile unico ed inimitabile. Affascinante poi la “Giapponese” con cagnolino di Eleuterio Pagliano e la giovane donna con parasole protagonista di “Passeggiata sul Bosforo” di Edoardo Tofano.

Se nelle prime due sale si ha quindi un suggestivo assaggio di quanto ci possa attendere nel proseguimento dell’esposizione, nella terza sala si incontrano e si scontrano gli “attori protagonisti” della mostra, Giuseppe De Nittis e Giovanni Boldini, in un “tête – a – tête” che fa emergere non solo l’evoluzione della loro poetica e del loro linguaggio dai primi anni Settanta alla metà degli anni Ottanta, sia le peculiarità umane e psicologiche di questi uomini, artisti diversissimi tra loro ma accomunati dal talento, dal desiderio di fama e dall’amore per Parigi.

Tra le opere di Boldini spicca la serie di dipinti dedicati a Berthe, giovane bionda modella e amante del pittore per circa dieci anni, come “Berthe che esce per la passeggiata”. La fanciulla – troppo bella, troppo buona, troppo amabile – sarà sostituita in entrambi i ruoli dalla mora e sensuale Gabrielle de Rasty, moglie del conte Constantin de Rasty, con la quale Boldini avrà un’intesa relazione sentimentale fino alla fine degli anni Novanta, di cui si coglie la prorompente bellezza selvaggia nel famosissimo “La contessa de Rasty seduta sul divano”. Ancora di Boldini la celeberrima “Amazzone”, ritratto dell’attrice Alice Regnault a cavallo, e la splendida “Fanciulla con gatto nero”, il Meo più volte citato nelle lettere dell’artista all’amica Leopolda Redi Banti.

Tra le numerose opere di Giuseppe de Nittis sono esposte “La discesa dal Vesuvio”, che dimostra la sua predilezione per la pittura di paesaggio, e poi le prime opere parigine, “Sulle rive della Senna” e “Dans les blé”, entrambi dipinti nel 1873. Questa preziosa tavoletta – già esposta in questa sale in occasioen di “Ottocento in collezione” nel 2018 – è stata richiesta per un’importante esposizione che avrà luogo a marzo 2024 al Musée d’Orsay, e quindi lascerà le sale del Castello prima della conclusione della mostra, ma rimarrà presente sotto forma di “immagine clonata” ad altissima definizione riprodotta in dimensioni reali. Non mancano, poi, il famosissimo “Al Bois de Boulogne”, il delicato “Leontine in canotto” e due pastelli grandi al vero, “Signora seduta in giardino” e “Fiori d’autunno”, tra le ultime opere eseguite da De Nittis scomparso improvvisamente nell’agosto del 1884 a soli trentotto anni.
Di connotazione monografica, la terza sezione è interamente dedicata ad Antonio Mancini, con 9 intensi e assoluti capolavori che testimoniano l’essenza dell’artista che, poco più che 19enne, arriva a Parigi nel 1871 e poi vi farà ritorno per brevi periodi nel 1875 e tra il 1877 e il 1878. Spiccano, in particolare, “Lo scolaretto”, “La lettura”, “I giocattoli della bambina” noto anche come “Bambina con fazzoletto giallo” ed i celeberrimi “Piccolo savoiardo” e “Scugnizzo con chitarra”, con l’inconfondibile sguardo del modello “straccione d’Abruzzo orfano di padre” Luigi Paolo Gianchetti, noto come “Luigiello”.

La sala successiva, coincidente con la quarta sezione, è dedicata interamente a Federico Zandomeneghi: giunto a Parigi nel 1874 a trentatré anni, per quello che avrebbe dovuto essere “un breve soggiorno di studio”, il pittore veneziano non se ne sarebbe più andato. La sua frequentazione del Café de la Nouvelle Athènes in Place Pigalle, ritrovo di letterati, musicisti, critici e di quei giovani artisti indipendenti che, rifiutati al Salon nel 1874, avevano esposto i loro lavori nello studio del noto fotografo Nadar, pseudonimo di Gaspard Félix Tournachon, poi noti come gli Impressionisti, avrebbe cambiato per sempre la vita e l’arte del pittore. Nella sala spicca lo straordinario “Ritratto di Diego Martelli con berretto rosso”, oggi nella Collezione delle Gallerie degli Uffizi, opera ispirata al soggiorno parigino dell’amico critico Diego Martelli, a cui si deve la definizione dei pittori quali “les italiens de Paris”. Imperdibili “Madre e figlia”, dipinto capitale nella produzione dell’artista, lo straordinario “Il violoncellista”, il pastello “Coppia al Caffè”, che segna la definitiva adesione di Zandomeneghi all’Impressionismo, e “En promenade”, dal taglio eccezionale, che coglie la donna in un momento di vita quotidiana.

La quinta sezione, “La vita cittadina: Parigi – Londra vis-à – vis”, restituisce l’idea del fermento cittadino delle due capitali e la frenesia dei ritmi urbani: comprende solo 7 opere, vere e proprie tranche de vie delle due popolatissime e vivaci metropoli ottocentesche, scene di moderna vita quotidiana. Boldini è presente con la famosa “Place Clichy”, opera di collezione privata che raramente viene concessa in prestito, mentre De Nittis con “Flirtation” ci immerge nell’atmosfera di Hyde Park, opera del 1874 venduta al collezionista newyorkese Alexander Turney Stewart insieme a Il ritorno dalle corse per ben 30.000 franchi complessivi, e ci affascina con la monumentale tela “Westminster”, opera eseguita da De Nittis per il banchiere Kaye Knowles, uno dei capolavori assoluti del pittore, un quadro dal taglio modernissimo che, grazie alle sue dimensioni, coinvolge lo spettatore che si sente anch’egli parte della scena. Anche questa opera lascerà le sale prima della fine dell’esposizione, poiché attesa a Palazzo Reale a Milano per la grande monografica su Giuseppe De Nittis, realizzata con la partecipazione di METS Percorsi d’Arte (l’opera resterà tuttavia presente al Castello di Novara in forma di “immagine clonata” ad altissima definizione riprodotta su tela in dimensioni reali come nel caso di “Dans le blé”). La sezione si chiude con “Place d’Anvers a Parigi” di Zandomeneghi, dipinto universalmente riconosciuto come uno dei capolavori indiscussi dell’artista.

“Attimi rubati: l’universo privato” è la sesta sezione che presenta un’accurata scelta di nudi e soggetti femminili colti in intimità che riflettono profondamente il carattere, le differenti sensibilità e il diverso approccio dei rispettivi artisti a questo tema. “Giovane in déshabillé con specchio” di Boldini ha come protagonista una modella giovane e ammiccante, nel “Nudo di schiena” di De Nittis è ritratto il suo grande amore, mentre di gusto già impressionista è il pastello “Nudo coricato” di Zandomeneghi.
La sezione successiva, “Vittorio Matteo Corcos e i primi passi nella Ville Lumiere”, presenta 5 opere del suo breve ma fondamentale soggiorno parigino con “La farfalla”, “L’inglesina” e il celeberrimo “Le istitutrici ai campi Elisi”. Giunto a Parigi appena ventunenne nel 1880, il pittore livornese si presentò a casa De Nittis “senza nemmeno un biglietto”, come lui stesso racconterà: questa conoscenza gli permetterà di entrare in contatto soprattutto con Adolphe Goupil, con il quale, solo pochi mesi dopo, firmerà un importante contratto (1881-1896) che gli garantirà stabilità economica e successo.

L’ottava e ultima sala, “Il ritratto mondano”, chiude con 10 capolavori il percorso espositivo: ne sono protagonisti indiscussi Giovanni Boldini e Vittorio Matteo Corcos, tra i più abili esecutori di questa tipologia di ritratto molto amata che renderà i pittori ricercatissimi tra i contemporanei e famosi quanto le più alte personalità fermate sulla tela dai loro straordinari pennelli. Se il “Ritratto del soprano Lina Cavalieri”, e l’inedito “Ritratto della contessa Lia Silvia Goldmann Clerici” di Corcos danno prova della versatilità e della maestria del pittore, alcuni capolavori assoluti del maestro ferrarese – tra i quali i ritratti a pastello delle giovani sorelle cilene Concha y Subercaseaux (“Ritratto della Signorina Emiliana Concha y Subercaseaux”, il cosiddetto “Pastello bianco” e “Ritratto di Elena Concha y Subercaseaux” qui esposte insieme per la prima volta dopo l’esposizione di Parigi del 1889), la grande tela “La Contessa Speranza” nota come “La Divina” e il “Ritratto di Josefina de Alvear de Errázuriz” – testimoniano la grande fama raggiunta come ritrattista sia di figure femminili sia di personalità culturali che venivano colte con eleganza, dinamismo e caratterizzazione psicologica, rifuggendo quindi dalla ritrattistica classica.

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Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi

Francesca Bergamaschi Nata a Novara nel 1978 laureata in Lettere Moderne presso l'Università del Piemonte Orientale, specializzata in Storia dell'Architettura Medievale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Ha poi conseguito un master in "Management per i Beni e le Attività Culturali" presso la Facoltà di Economia dell'Università del Piemonte Orientale. Autrice di monografie, articoli di carattere storico-artistico e progetti scientifici per esposizioni temporanee, affianca all'attività di guida turistica abilitata anche l'attività giornalistica. Docente di lettere nelle scuole superiori, dal 2013 è consigliere della Società Storica Novarese. nonchè membro del comitato di redazione del Bollettino Storico per la Provincia di Novara.

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