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Carlo Cottarelli: «Anche la cultura nella ripresa post pandemica»

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Leggi “Cabiria Teatro” e pensi a qualche spettacolo. Invece no. Perché le luci della ribalta (quasi alla fine, prima è stata sfruttata quella naturale) erano tutte rivolte a Carlo Cottarelli. L’economista cremonese è intervenuto nel pomeriggio di ieri, martedì 9 settembre, a Casa Bossi al ciclo di incontri proposto da Cabiria Teatro (nell’ambito del bando “Ricontriamoci” finanziato da Compagnia di San Paolo) per parlare di ripresa economica nella fase postpandemica, ma anche di cultura come potenziale “traino”.

Dopo l’intervento di saluto portato dal sindaco di Novara Alessandro Canelli, Cottarelli ha avuto modo di dialogare con l’attore Mariano Arenella e la giornalista Rai del TgR Friuli – Venezia Giulia Maria Spezia, partendo da diversi problemi cronici presenti nella nostra società, dalla corruzione all’elevata evasione fiscale che “inquinano” il cosiddetto capitale sociale della nostra comunità: «Occorre compiere degli sforzi che potranno dare risultati soltanto nel tempo. Fondamentali sono i ruoli della scuola e della famiglia. E poi la nostra realtà è troppo burocratica, perché introduciamo una marea di regole dettate dalla non fiducia».

 

 

Come ci siamo comportati durante il Covid? «Il comportamento è stato misto. Se ora andiamo meglio di altri la cosa può essere interpretata dal fatto che siamo stati più responsabili, anche se non tutti lo hanno fatto, partendo dalle richieste di aiuti avanzate anche da chi non ne aveva bisogno. Però, osservando gli altri Paesi, forse non abbiamo fatto così male». Volendo stilare una graduatoria su scala globale, «la Cina ha fatto meglio di tutti, perché il virus è iniziato da lì ed è stato adottato un approccio drastico, militare. E ci sono riusciti. La Cina sarà l’unica che registrerà alla fine comunque una crescita. Gli Stati Uniti hanno fatto un po’ meglio dell’Europa, dove si è avuto una caduta di reddito di oltre il 12%, l’Italia del 12,8».

Quindi come ci collochiamo? «Un po’ peggio della media, ma meglio di Francia, molto meglio di Spagna, enormemente meglio del Regno Unito». Come si spiegano questi dati? «Da tre cose. Quanto sia esteso il settore dei servizi rispetto al manifatturiero, la durata del lockdown e un “effetto paura” causato dal numero dei morti. La soluzione migliore sarebbe la via di mezzo, ma comunque in questa sorta di corsa del gambero non siamo stati il fanalino di coda. Ma cosa ci ha salvato? I fondi che arrivano dall’Europa».

E qui Cottarelli ha voluto soffermarsi illustrando i meccanismi che porteranno all’erogazione di questi “aiuti” da parte dell’Unione Europea, di quanti soldi abbia effettivamente bisogno lo Stato italiano, del fatto che comunque una nuova crisi finanziaria sia stata evitata e che, soprattutto «la caduta del nostro Pil non arriverà alla doppia cifra. Il “rimbalzo” è già iniziato, c’è stata una perdita di 600 mila posti di lavoro, ora siamo in ripresa. Certo, c’è chi si è mosso meglio, la Germania su tutti. Il nostro debito aumenterà a livelli mai raggiunti, ma bisogna sempre guardare alle alternative. Perché è stato possibile indebitarsi ancora di più? Perché sono arrivati i soldi dall’Europa e la BCE è credibile nelle sue scelte. Il nostro debito è quindi meno pericoloso rispetto a quello che può essere generato dai mercati finanziari. E poi dobbiamo fare i conti con un’inflazione contenuta; problemi maggiori potrebbero sorgere se nell’arco di qualche anno dovesse risalire. Nella sostanza ci stato concesso tempo. Per cosa? Per attuare quelle riforme che ci dovrebbero consentire di crescere. Uno Stato potrebbe aumentare le sue entrate senza inasprire la pressione fiscale. Per questo è prima di tuto importante utilizzare questi soldi che arrivano dall’Europa».

Venendo alla cultura, si tratta di un settore che rappresenta il 6% del nostro Pil il lavoro per 800 mila persone. Però gli investimenti sono ancora al di sotto della media. Perché? «Perché la sua importanza non viene percepita da una certa opinione pubblica. Quando ero commissario alla spending rewiew ho chiesto tagli in tutti i Ministeri meno che all’Istruzione alla Cultura. Spendere in questi settori vuol dire investire in capitale umano, ma non lo facciamo. Anche perché la cultura può rendere, ma nel lungo periodo. Occorre convincere l’opinione pubblica».

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