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Árpád Weisz rivive nel libro di Gianni Cerutti

In occasione del Giorno della memoria, che ricorre ogni anno il 27 gennaio, è in uscita uno nuovo libro sulla figura del grande allenatore dell’Inter Árpád Weisz, deportato ad Auschwitz. Gianni Cerutti, storico e saggista, direttore della Fondazione Marazza di Borgomanero e direttore scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara, collaboratore de La Voce di Novara ha pubblicato per Interlinea “L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager”. All’autore abbiamo rivolto qualche domanda.

Chi era Árpád Weisz?
È stato uno dei più importanti allenatori della storia del calcio italiano, che ha svolto un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo della pratica del gioco, connetendolo alle correnti più innovative del calcio europeo, sia sotto l’aspetto tattico, sia sotto l’aspetto organizzativo. Tanto la formazione della Nazionale campione del mondo nel 1934, quanto quella campione nel 1938, hanno schierato in ruoli chiave giocatori formati da Weisz, Meazza su tutti, e beneficiato della impostazione tattica che aveva dato alle sue squadre, l’Inter e il Bologna, con le quali aveva vinto i campionati nelle stagioni 1929-30, 1935-36 e 1936-37. Con l’Inter aveva raggiunto la finale della Mitropa cup nel 1930, perdendo la finale di misura contro l’Austria Vienna di Matthias Sindelar, che aveva battuto seccamente la Juventus di Carcano, quella dei cinque scudetti, in semifinale; con il Bologna, il prestigioso Torneo dell’Esposizione nel 1937, sconfiggendo in finale i londinesi del Chelsea per 4 a 1, la prima sconfitta di una squadra inglese in campo internazionale. La sua carriera sportiva venne bruscamente interrotta nell’ottobre del 1938, quando fu costretto a lasciare l’Italia in conseguenza della promulgazione delle leggi antiebraiche. Weisz era infatti cittadino ungherese e le norme contenute nella legislazione anticipata da un decreto emanato il 7 settembre imponevano ai cittadini stranieri riconosciuti come ebrei di abbandonare l’Italia entro il 12 marzo del 1939. Lasciata l’Italia, Weisz trovò un ingaggio a Dordrecht, in Olanda, ma dopo l’invasione tedesca del maggio del 1940 venne arrestato e deportato ad Auschwitz con la moglie Ilona e i loro bambini, Roberto e Clara di 14 e 10 anni. Ilona, Roberto e Clara furono uccisi nell’ottobre del 1942, Árpád nel gennaio del 1944.

 

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Come la sua figura è caduta nell’oblio e come poi è stata riportata alla luce? 
La storia di Weisz è stata riportata in vita da Matteo Marani, che nel 2007 ha pubblicato una biografia che ne ha ricostruito con precisione la vicenda, riprendendo un’indicazione di Enzo Biagi. Il libro ha avuto diverse edizioni, una anche per ragazzi, e ha dato avvio a un progressivo recupero della memoria della tragedia del grande allenatore ungherese, tanto che oggi in tutti gli stadi delle squadre che ha allenato sono state poste targhe che lo ricordano. A Novara, dove allenò per circa tre mesi tra il settembre del 1934 e il gennaio del 1935, oltre alla targa posta al Silvio Piola, gli è stato intitolato il campo dove gioca e si allena la società dell’Edelweiss. Tuttavia si tratta di una vicenda così straordinaria e complessa, su cui mi sono convinto vale la pena continuare a riflettere, cercando di fissarne in modo sempre più preciso i contorni e di approfondire il significato che intendiamo attribuire alla sua memoria. A cominciare dal fatto che a Bologna le due targhe dedicate a Weisz si trovano all’interno dello stadio che dal 1983 è intitolato a Renato Dall’Ara, che era presidente della società rossoblu nel 1938 e che non risulta aver cercato in alcun modo di proteggerlo o di aiutarlo.

Weisz fu vittima delle leggi razziali italiane…
Sì e non fu l’unico tra gli allenatori. Nel corso del campionato 1938-39 furono costretti a lasciare l’Italia, e le loro squadre, altri due allenatori ungheresi: Ernő Erbstein del Torino e Jenő Konrad della Triestina. Konrad aveva già dovuto fuggire dalla Germania, quando la sua casa era stata assaltata da un manipolo nazista guidato da Julius Streicher. Un fatto che a me pare abnorme, tanto da privare di significato lo svolgimento di quel campionato, e che, però, sembra non aver lasciato traccia nella coscienza civile e sportiva dell’opinione pubblica italiana. Un fatto che impone una diversa valutazione dell’impatto che la legislazione antiebraica ebbe sulla società italiana, generalmente sottovalutato, anche da chi ne condanna fermamente i presupposti.

E poi lo sterminio…
Weisz venne arrestato dalla Gestapo con sua moglie e i loro bambini a Dordrecht nell’agosto del 1942, molto probabilmente denunciato dai suoi vicini di casa. L’Olanda aveva capitolato il 14 maggio 1940, quattro giorni dopo l’invasione. Il controllo del territorio olandese era in quel momento totale, l’economia piegata agli sforzi bellici del Reich e la società sostanzialmente neutralizzata, con solo piccoli gruppi attivi nella resistenza, tra cui va ricordata quello sorto intorno alla squadra dell’Ajax. Eppure vennero mobilitate risorse ed energie ingenti per individuare, deportare e sterminare tutta la popolazione ebraica residente, indipendentemente dalla nazionalità. Popolazione che non rappresentava a nessun titolo una minaccia per l’occupante e che non si pensava nemmeno come un soggetto unitario. Gli studi mostrano, infatti, che la comunità ebraica di Amsterdam, la più numerosa e importante, era attraversata da fratture di classe che facevano premio sulla supposta identità religiosa. E così avvenne in tutta l’Europa occupata. Tanto da ritenere strategico scovare, deportare e assassinare un allenatore di calcio ungherese, assolutamente estraneo a qualsiasi movimento politico e che non rappresentava alcun tipo di minaccia rispetto al conseguimento degli scopi di guerra. Di fronte alla sua identità ebraica, attribuitagli dall’esterno oltrettutto, scompariva qualsiasi altra connotazione, merito o talento. Essere stato uno dei protagonisti del calcio europeo diventava un dettaglio irrilevante, così come essersi integrato nelle società delle nazioni dove aveva vissuto e lavorato.

Weisz fu un grande innovatore nel suo settore?
Ha lasciato un segno profondo nella storia del calcio italiano sotto diversi punti di vista. Innanzitutto dal punto di vista tattico, importando il sistema messo a punto dal grande allenatore dell’Arsenal Herbert Chapman a metà degli anni venti e adattandolo alle caratteristiche dei calciatori italiani. Weisz si accorse subito, infatti, che i nostri difensori non avevano assolutamente attitudini offensive, fondamentali nell’applicazione del sistema, e mantenne lo schieramento difensivo classico, creando un triangolo di centrocampo, tra le due mezzeali e il centromediano, che da allora venne definito metodista. Una posizione definita da Weisz e che ha fatto la fortuna del calcio italiano fino a tempi recentissimi. Ha poi inventato gli schemi, studiando per primo strategie di gioco per attaccare e difendere apprese in allenamento. Ha introdotto allenamenti differenziati per ruolo, lo studio della dieta per i calciatori e ha creato il primo staff medico di una squadra di calcio, anche se all’inizio Dall’Ara gli mise a disposizione soltanto uno studente in medicina. Tutte queste innovazioni derivavano dal fatto che Weisz era prima di tutto uno studioso e un teorico. Nel 1930 pubblicò il primo manuale in lingua italiana di livello europeo, che ebbe un ruolo decisivo nella crescita della cultura calcistica italiana.

Il libro sarà presentato il prossimo 30 gennaio alle 18 alla Biblioteca Negroni nell’ambito dei Giovedì letterari.

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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