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Al Coccia è andato (ancora) in scena il contemporaneo. Quale futuro per il Teatro?

Sfondo neutro, costumi anonimi, musica stridente (tranne qualche nota di memoria pucciniana e donizettiana), voci nella media, ma ben lontane da quelle a cui il pubblico novarese era stato abituato pre Covid. Unico collante dello spettacolo il testo (di Davide Rondoni): una bella poesia in rima baciata utile a tenere il ritmo dello spettacolo, quest’ultimo difficile da seguire in assenza del libretto, comunque scaricabile digitalmente.

Sabato sera, e domenica in replica, al Teatro Coccia è andata in scena l’ennesima opera contemporanea: Rapimenti d’amore di Cristian Carrara.

Al termine il pubblico ha comunque applaudito, ma non ha nemmeno fatto mancare qualche evidente voce di dissenso (buu), segno che questa linea totalmente votata al contemporaneo ha stancato.

Ora è necessaria una riflessione. Se è giusto ammettere che il Teatro ha avuto il coraggio di portare avanti operazioni innovative durante il periodo del lockdown, è altrettanto necessario auspicare che, con il nuovo anno, si riprenda in mano la responsabilità di proporre opere di tradizione in grado di ricominciare a riempire la sala. E se è vero che, nonostante le riaperture al 100%, si è verificata una certa generale disaffezione del pubblico per gli spettacoli dal vivo, è altrettanto certo e quanto mai indispensabile essere in grado di proporre ciò che il pubblco si aspetta di vedere.

Entro il 31 gennaio il Teatro dovrà presentare la domanda ministeriale per poter accedere ai fondi triennali: è urgente, dunque, che la nuova stagione – in apertura il 22 gennaio in occasione di San Gaudenzio – più volte annunciata della durata di dodici mesi, sia solida e concreta, costellata di proposte di alto livello e con un numero cospicuo di opere liriche classiche, concerti sinfonici, prosa e balletto nella migliore tradizione del Teatro Coccia.

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

Una risposta

  1. Condivido, purtroppo nel disinteresse generale la tradizione lirica novarese sta implondendo. Allontanare il pubblico dal teatro, o meglio: allontanare il teatro dal pubblico con una programmazione priva di spessore e valore, volta alla economicità della produzione ottenuta con allievi e saggi non è lungimirante. Può vivere un teatro senza pubblico? Mi domando anche se queste opere hanno davvero un valore artistico tale da essere rappresentate. Il castello di Barbablù è comunque opera di Bartok (compositore entrato a pieno titolo nella storia della musica) ma gli altri autori?

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