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Stop al blocco dei licenziamenti, Fasulo (Cgil): «Un disastro, a rischio la tenuta sociale»

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Il governo l’ha deciso ieri, giovedì 15 ottobre: il blocco dei licenziamenti in scadenza il 31 dicembre non verrà prorogato. In vista della manovra attesa oggi, venerdì 16, in Consiglio dei ministri, è la Cgil a lanciare l’allarme. Il divieto di licenziare, infatti, è in vigore dal 17 marzo: si tratta di uno dei provvedimenti “salva lavoratori” adottati dal Governo in seguito all’emergenza sanitaria.

Attilio Fasulo

Nella legge di bilancio l’esecutivo avrebbe deciso di potenziare gli ammortizzatori sociali inserendo altre 18 settimane di cassa integrazione a partire dal 1 gennaio 2021, ma la situazione è molto temuta dai sindacati: si stima che in Piemonte siano 16 mila i lavoratori a rischio, 6/7 mila quelli sul nostro territorio. «Nelle recenti manifestazioni abbiamo messo al centro il tema del lavoro e i numeri sono stati ipotizzati in funzione del fatto che i nostri osservatori ci segnalano situazioni molto difficili – afferma il segretario provinciale di Cgil Novara Vco Attilio Fasulo -. Bisogna considerare che non stiamo parlando solo di licenziamenti, ma di imprese che falliscono. La decisione del governo produrrà un danno incalcolabile se consideriamo che la disoccupazione è già fortemente presente, soprattutto quella femminile: siamo preoccupati per la tenuta sociale, è una situazione che rischia di essere una bomba di immani proporzioni».

Un argomento, dunque, che va oltre il problema economico in senso stretto.
Quello della salvaguardia dei posti di lavoro diventa un tema a sfondo sociologico per questo motivo mi auguro che ci si possa sedere intorno a un tavolo anche con le parti sociali e decidere cosa fare. Avevamo già proposto una revisione degli ammortizzatori che non coprono la totalità dei lavoratori oltre alla riduzione dell’orario a parità di salario: in molti Paesi del nord Europa si discute seriamente su quest’ultimo punto, varrebbe la pena metterlo in agenda anche in Italia. Il problema è che sia da parte del Governo che degli industriali non c’è una presa di coscienza della situazione, anzi una tendenza a mettere mano ai licenziamenti destrutturando tutta una serie di regole come il rispetto dei contratti collettivi o i rapporti tra impresa e manodopera.

Pensa siano utili i contributi alle imprese a favore di nuove assunzioni di giovani?
Sono convinto che tutti i contributi destinati al sostegno del lavoro siano utili e necessari. Non sono d’accordo, però, ai contributi a pioggia come è avvenuto nei mesi scorsi: è indispensabile un’opera di selezione premiando quelle che sono le imprese virtuose che investono attraverso la salvaguardia dei lavoratori.

Una tragedia doppia per chi finora non ha mai ricevuto la cassa integrazione pur avendo diritto.
Un vero e proprio disastro. Ma sembra che per il Governo questo non sia la preoccupazione principale, ma lo diventerà con contorni drammatici. Nei nostri uffici passano persone a dir poco arrabbiate e ne hanno ben ragione quando ci sono situazioni in cui non riesci a mettere insieme il pranzo con la cena. È assolutamente indispensabile che chi governa abbia innanzitutto attenzione per un tessuto produttivo che per noi è capillare, cioè quello della piccola e media impresa che invece viene decimata di giorno in giorno.

 

 

Sul nostro territorio quali sono i settori più colpiti dai licenziamenti?
Sicuramente quello manifatturiero già formemente in crisi in seguito alla deindustrializzazione degli anni 80/90. Anche i servizi alla persona stanno subendo contraccolpi feroci così come il settore degli appalti in seguito alla riduzione dell’orario e alla diminuzione delle commesse.

Cosa sta facendo la politica locale per arginare questa situazione?
Il problema è che io non intravedo una linea di indirizzo. Vedo solo la comparsa di centri commerciali, supermercati e una consistente presenza di logistica. I settori che erano forti come il manifatturiero, il lattiero caseario o la chimica avanzata (tranne qualche polo di eccellenza tuttora presente) sono praticamente spariti. Allora mi chiedo: l’industria non rappresenta più un elemento attrattivo? Da una tipologia di lavoro ricco che faceva crescere il livello reddituale si è passati a uno povero: i parchi commerciali a cinquanta metri uno dall’altro si fanno solo concorrenza, i contratti sono part time e i salari miseri. Non vedo un grosso futuro senza una politica industriale.

Avete fatto presente all’amministrazione questa problematica?
Lo abbiamo fatto con la prefettura di Verbania che ha ci accolto con impegno e ha predisposto una cabina di regina. Penso che anche Novara dovrebbe fare la stessa cosa e capire quale sia la prospettiva di questo territorio. È vero, la situazione è aggravata da uno scenario nazionale terribile, ma i soggetti che impongono il tessuro produttivo che cosa hanno in mente? Se tutto viene lasciato al mercato il risultato può essere solo una giungla di centri commerciali che nulla hanno a che fare con la produzione ma solo con il consumo.

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Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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