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Si fingevano parenti malati o in pericolo per truffare gli anziani. Oltre 400 mila euro il bottino e 50 gli episodi

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Si fingevano parenti malati o in pericolo per truffare gli anziani. Oltre 400 mila euro il bottino e 50 gli episodi. Nove misure cautelari e  tredici decreti di perquisizione personale e locale sono il risultato di una complessa e articolata operazione condotta dalla Squadra Mobile della Polizia di Stato di Novara e coordinata dalla Procura della Repubblica, che ha permesso di individuare e smantellare un’associazione a delinquere di carattere transnazionale dedita alla commissione di truffe aggravate a persone anziane. Base logistica dell’organizzazione malavitosa era la Polonia e non a caso l’operazione è stata denominata “Droga babciu” (“Cara Nonna” in polacco).

Proprio perché la vittime erano di età compresa tra i 60 e i 95 anni questo tipo di reato è stato definito dal questore di Novara, Rosanna Lavezzaro «particolarmente odioso. I danni che lasciano sono incommensurabili; molte persone, proprio perché anziane, non hanno neppure il tempo per recuperare e per questo sono particolarmente soddisfatta che le indagini condotte in questi mesi abbiano avuto un esito positivo».

 

 

I particolari dell’inchiesta, che il personale della Sezione reati contro il patrimonio della Squadra Mobile di Novara hanno condotto in stretta collaborazione con gli agenti di altre Questure piemontesi, di Como, oltre che della Polizia Giudiziaria del Canton Ticino, sono stati illustrati dal procuratore capo facente funzioni di Novara Nicola Serianni e dalla dirigente della Mobile Valeria Dulbecco.

Secondo quanto ricostruito, il modus operandi dei criminali era di tipo seriale e agiva sulla vulnerabilità e la buona fede delle vittime che venivano contattate telefonicamente da individui che si fingevano parenti e che, con il pretesto di aver provocato un incidente stradale o di essere in pericolo di vita dopo aver contratto il Covid, convincevano il malcapitato di turno ad aiutarli raccogliendo denaro e oggetti preziosi, quasi sempre di stretto valore affettivo. Terminata l’opera di “convincimento” da parte del “telefonista” scattava la seconda fase: un complice, spacciandosi per “segretario di un notaio” o addirittura per il “personale sanitario”, si recava nell’abitazione del malcapitato per il ritiro del bottino.

L’attività investigativa ha avuto inizio nel marzo del 2020 quando una donna ultraottantenne, già in passato vittima di un analogo reato, ha ricevuto la telefonata da parte di un sedicente nipote. Dopo aver finto di credere alla storia che le era stata raccontata, aveva allertato le Forze dell’ordine che hanno proceduto all’arresto in flagranza del giovane che si era presentato per ritirare soldi e preziosi. Da questo episodio sono partite le indagini attraverso pedinamenti, appostamenti e intercettazioni. Un lavoro reso ancora più difficile dal fatto che i “telefonisti” operavano dall’estero. Tuttavia la lunga e paziente attività ha permesso di ricostruire l’intera struttura criminale, responsabile di una cinquantina di episodi avvenuti tra l’altro durante il periodo della piena emergenza pandemica.

I referenti dell’organizzazione sono cittadini polacchi di etnia rom residenti da decenni a Novara che agivano in base a precise direttive che giungevano dall’estero. Su richiesta della Procura il Gip del Tribunale ha quindi emesso quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di L.D, 46 anni, e B.B., 32 (marito e moglie); C.N., 21 anni, e L.M. di 36; ai domiciliari sono finiti K.Y., 21anni, K.H., 27 ed E.A,m 23, mentre due misure cautelari con obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria riguardano invece P.G., 23 anni e E.O., 22. Cinque arresti sono stati eseguiti in flagranza di reato, mentre nel corso di numerose perquisizioni è stato rinvenuto materiale ritenuto dagli investigatori molto utile per il proseguimento delle indagini. Da una prima stima il provento delle truffe portate a termine ammonta a circa 400 mila euro, tra denaro e gioielli, inviato in Polonia con lo scopo di farne perdere le tracce.

Un’attività criminale, ha ricordato infine il questore «avvenuta nel corso della pandemia, utilizzata dai criminali per sfruttare il particolare stato di isolamento e la vulnerabilità in cui molte persone si sono ritrovate. Ma una cosa che più ci ha colpito sono stati la cattiveria, la spietatezza e l’incredibile cinica determinazione utilizzata dai telefonisti».

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