Negli ultimi giorni anche a Novara si stanno moltiplicando le iniziative pubbliche in sostegno alla popolazione di Gaza colpita dal genocidio in corso da parte di Israele: tre manifestazioni in meno di una settimana (oggi, lunedì 22 e sabato 27), promosse da gruppi diversi, con linguaggi e rivendicazioni che spaziano dalla solidarietà alla popolazione civile alla richiesta di uno sciopero generale per bloccare il Paese, fino alla rottura di ogni relazione con Israele.
A giugno anche noi giornalisti della città eravamo scesi in piazza per chiedere protezione per i cronisti palestinesi uccisi e feriti mentre raccontavano il conflitto. Era stata una mobilitazione circoscritta e compatta, nata dall’urgenza di difendere un principio essenziale: il diritto di informare e testimoniare. Nelle ultime settimane stiamo assistendo a una mobilitazione che è sì ampia, eterogenea, animata da un’urgenza reale di testimoniare indignazione e vicinanza, ma anche a un’ondata che, nella sua frequenza e nella sua intensità, solleva qualche interrogativo.
C’è il rischio, infatti, che, nel moltiplicarsi delle piazze, la tragedia umanitaria venga spinta sullo sfondo, trasformata in simbolo e in strumento di battaglie più generiche: contro i governi occidentali, contro l’industria bellica, contro le politiche globali. Temi fondamentali nel dibattito pubblico, ma che rischiano di sovrapporsi e di oscurare ciò che ha originato questa mobilitazione: la sofferenza dei civili sotto le bombe, la distruzione e la fame.
Pesa, in questo quadro, anche un’assenza: per la Ucraina, invasa dalla Federazione Russa – perché di invasione si tratta e su questo dobbiamo essere tutti d’accordo – non si erano mai viste manifestazioni con questa frequenza e capillarità. Allora prevalsero silenzi o iniziative circoscritte, davvero umanitarie con raccolte di materiale di prima necessità. Oggi, invece, Gaza catalizza un’energia imponente e trasversale. Una sproporzione che interroga, senza pretendere risposte semplici, ma che non può essere ignorata.
Un nodo scomodo, ma necessario da porre perché la solidarietà ha senso solo se resta ancorata alle persone e non agli schieramenti.
								
								
															
				





															
				







