La Regione Piemonte ha presentato nei mesi scorsi la bozza del nuovo Piano socio-sanitario 2025-2030, documento che fissa le linee guida per l’organizzazione della sanità nei prossimi cinque anni. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: quasi 5 miliardi di euro di investimenti, nuove assunzioni e un rafforzamento delle cosiddette “aggregazioni territoriali” tra medici, con l’intento di migliorare l’assistenza di prossimità.
Già durante l’estate il piano aveva suscitato forti polemiche tra le opposizioni in consiglio regionale, anche per i tempi di approvazione. Ma a riaccendere il dibattito sono state, nei giorni scorsi, le parole del presidente dell’Ordine dei medici di Torino, Guido Giustetto, nel corso dell’audizione in commissione Sanità.
Giustetto ha definito il piano «non dignitoso per gli operatori, non rispettoso dei cittadini», elencando una lunga serie di carenze: «Manca un piano del personale, una visione epidemiologica, riferimenti concreti su case e ospedali di comunità. Manca perfino l’ambiente». Il documento, ha aggiunto, è «da riscrivere» e «non sarebbe dignitoso per il Consiglio regionale approvarlo così com’è».
Parole che hanno provocato reazioni immediate da parte della maggioranza, in particolare da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, che hanno bollato l’intervento come «politico e non tecnico».
A offrire un punto di vista novarese è Federico D’Andrea, presidente dell’Ordine dei medici di Novara, che pur condividendo alcune critiche, invita alla cautela: «Condivido molte cose che dice Giustetto, ma non è questo il modo. Sappiamo quali sono i problemi della sanità e più volte ci siamo espressi affinché la Regione se ne facesse carico, ma posizioni così drastiche rischiano di essere controproducenti: il pericolo è un irrigidimento della Regione, e anche ciò che abbiamo sempre portato avanti diventerebbe più difficile».
Entrando nel merito del piano, D’Andrea aggiunge: «Se la Regione riuscisse a portare avanti tutto quello che è scritto andrebbe tutto bene. Il problema è vedere quanto sarà davvero realizzabile, alla luce della mancanza di medici, infermieri e strutture. Siamo indietro con le case e gli ospedali di comunità. Ma bisogna anche riconoscere che queste criticità non nascono oggi: derivano da almeno vent’anni di tagli al personale, alle spese, alle specializzazioni. Sono problemi vecchi, che col tempo si sono aggravati e ora ne paghiamo le conseguenze».
E conclude con una nota di preoccupazione: «Sono molto preoccupato. La Regione deve farsi carico soprattutto della carenza di personale e incentivare il lavoro nelle strutture pubbliche: di questo passo rischiamo di trovarle vuote».
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