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La Pasqua ucraina a Novara tra smarrimento e comunità. Padre Yuriy: «C’è ancora molto da fare»

E all'ex palazzina vigili funziona a pieno regime il centro distribuzione grazie all'impegno di Larissa, del marito Oleg e di Alessio, un volontario novarese

«Da quano due anni fa è stata fatta la riforma, finamente anche noi possiamo celebrare Natale e Pasqua come si celebrano in Italia e non, rispettivamente, tredici giorni e una settimana dopo. Altrimenti si richiava di non festeggiare nè uno nè l’altra. Quest’anno, però, la situazione è cambiata: i profughi, in modo particolare quelli provenienti dalla parte centrale dell’Ucraina, sono rimasti stupiti quando ho letto loro che Pasqua sarebbe stata il 17 aprile e non il 24. Ma non saranno comunque soli: domenica prossima alla fine della celebrazione farò una benedizione solo per loro, così che si sentano a casa».

A parlare è don Yuriy Ivanyuta – che tutti chiamano “padre” o anche solo “Yuryi” – parroco di religione cattolica bizantina per le diocesi di Novara e Vercelli che ogni domenica celebra la messa di rito orientale nella chiesa della Madonna del Carmine. Da sempre è il responsabile della comunità ucraina sul territorio, la più grande di tutto il Piemonte, e da quando è scoppiata la guerra è il punto di riferimento per ogni questione riguardante l’accoglienza dei profughi, più di 1000 solo in città, oltre 2500 in tutta la provincia.

Da quel 24 febbraio, Yuriy è visibilmente dimagrito: «Il mio telefono non smette di suonare, a volte anche di notte – ammette -. C’è tanto da fare ancora: le persone ospitate dai parenti o da italiani vanno comunque seguite perchè sono disorientate e all’hotel Parmigiano si è formata una nuova comunità che ha bisogno di tutto. Le due sale grandi vengono utilizzate per i corsi di italiano e altri che ci hanno proposto, soprattutto per i bambini».

È lì, infatti, che c’è un via vai continuo di mamme giovanissime con bambini piccoli e tutte fanno riferimento a lui; passano un paio di novaresi, uno vuole regalare un paio di colombe un uovo di Pasqua, l’altro ha con sè una barattolo enorme di salsa messicana: «Yuriy, questa è per noi». Arriva anche Dana, la signora ucraina che dalla primissima accoglienza vive al Parmigiano ed è diventata un po’ la mamma e la nonna di tutti: «Succede qualcosa? Chiama Yuriy. C’è qualche problema? Ci pensa Yuriy. Come faremmo senza di lui?» commenta.

Dopo poco transitano anche due ragazze ucraine, in Italia da tempo: «Loro mi aiutano con le traduzioni ogni volta che arriva una circolare che deve essere scritta in ucraino – racconta ancora padre Yuryi. E una terza che invece «non parla italiano ma mi aiuta con il registro dei profughi ospitati in hotel. È difficile tenere tutto insieme, molti di loro sono ancora smarriti e, se un italiano li vede, sembra che non abbiano voglia di nulla. In realtà non è così, per due motivi. Innanzitutto perchè in Ucraina la vita è molto meno frenetica che in Italia, poi perchè tutti loro vogliono tornare a casa al più presto e vivono questo momento come un tempo sospeso in attesa di tornare alle loro vite. Li capisco, io sono qui anche per questo».

E intanto corre da un luogo all’altro per tenere sotto controllo la situazione ed essere certo che tutta proceda. All’ex palazzina vigili, ad esempio, c’è Larissa, anche lei punto di riferimento per la comunità, in movimento fin dai primi giorni per la raccolta dei farmaci in parrocchia. Ora si è spostata in via Dante dove gestisce con il marito Oleg il punto distribuzione alimenti e beni di prima necessità costantemente rifornito dal Banco alimentare e dalla Protezione civile.

«Noi siamo qui tutti giorni ormai, ma aperti tre giorni a settimana: martedì, mercoledì e venerdì dalle 14.30 alle 18.00 – spiega Larissa mentre continua a lavorare -. Tutti i profughi possono venire qui e noi diamo loro una borsa piena di cibo. Ogni volta ne arrivano circa cinquanta e nessuno va via senza». Con loro, dietro al bancone c’è anche Alessio, un volontario novarese: «Un giorno, dopo lo scoppio della guerra, sono entrato in parrocchia per chiedere se c’era bisogno – racconta -. Mi hanno accolto come se fossi anch’io parte della comunità. Ho due braccia e due gambe e cerco di usarle per quel che serve. Adesso è necessario essere qui».

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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