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Accusato di abbracciare posizioni scismatiche, arriva la scomunica per presbitero aronese

Si tratta di don Marco Pizzocchi che al sabato celebrava la messa in rito latino nella chiesa di Santa Marta. Originario di Gravellona Lomellina, in passato era stato parroco a Nibbiola e Garbagna, manifestando già allora posizioni censurate dalla Curia novarese

Ora c’é pure un decreto, con tanto di sigillo e firma da parte del vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla: don Marco Pizzocchi, il 59enne presbitero originario di Gravellona Lomellina – località che sino al 2016 apparteneva alla Diocesi gaudenziana prima di un “aggiustamento” delle frontiere ecclesiastiche – è stato scomunicato. Conosciuto per essere un convinto sostenitore della “messa tridentina” (quella, tanto per intenderci, preconciliare, ricordata dai più anziani per essere celebrata in lingua latina e con il sacerdote che rivolge le spalle ai fedeli) che celebrava il sabato nella chiesa aronese di Santa Marta, su don Marco penderebbero però accuse ancora più gravi, comprese quelle di avere abbracciato posizioni lontane da quella della comunità cattolica e di essersi avvinato a un movimento, molto attivo a Milano, ritenuto “scismatico”, perché arriverebbe a considerare addirittura illegittimi tutti i pontefici succedutisi dopo Pio XII.


Quasi una vera “spy story” vaticana vecchia ormai di oltre sessant’anni, secondo la quale nel conclave del 1958 – convocato appunto in seguito alla scomparsa di papa Pacelli – sarebbe stato in un primo momento eletto il “tradizionalista” arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri (con tanto di nome prescelto, Gregorio XVII), poi costretto a “rinunciare” in favore del più anziano e mite Angelo Roncalli, divenuto Giovanni XXIII. Verità o leggenda, tanto basterebbe per chi vuole credere – e non sarebbero pochi – a questa teoria complottista che tutti i papi dal 1958 ad oggi sarebbero “illegittimi” e la Sede apostolica tuttora vacante…


Tornando a don Marco, una volta ottenuta l’ordinazione sacerdotale nel 1992, è stato inizialmente coadiutore a Romagnano Sesia, per poi diventare parroco a Nibbiola e Garbagna Novarese. Incarico revocatogli dall’allora vescovo Renato Corti in quando già in quell’occasione aveva manifestato la volontà di celebrare la messa unicamente in latino. Possibilità concessa a diversi sacerdoti da Benedetto XVI, anche se qualcuno avrebbe voluto spingersi oltre.


Il provvedimento adottato dal vescovo Brambilla risalirebbe alla scorsa estate, ma solo in questi giorni è diventato pubblico. Contro di esso don Marco potrà appellarsi presso la Congregazione della Dottrina della fede, organismo conosciuto sino all’inizio del secolo scorso come Santa inquisizione e poi Sant’Uffizio.

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Luca Mattioli

Luca Mattioli

3 risposte

  1. Chiedo scusa ma l’articolo presenta alcune inesattezze molto gravi:
    1. laddove si dice “quella, tanto per intenderci, preconciliare, ricordata dai più anziani per essere celebrata in lingua latina e con il sacerdote che rivolge le spalle ai fedeli”. Occorre precisare che la Messa ore-conciliare è la “forma straordinaria del Rito romano” e non è ricordata solo dagli anziani ma, anzi, oggi risulta essere abbondantemente riscoperta da fedeli di ogni età, soprattutto giovani. Tale definizione è faziosa e assolutamente irrispettosa
    2. La questione della presunta elezione di Siri come Papa non c’entra assolutamente nulla con il sedevacantismo che è un movimento molto più articolato e con numerose posizioni teologiche che lo sostengono
    3. Don Pizzocchi non aderisce ad un gruppo sedevacantista ma collabora con l’Istituto Mater Boni Consilii che segue la “tesi di Cassiciacum” elaborata dal
    domenicano padre Guerard de Lauriers secondo cui la sede apostolica è occupata “materialmente” ma non “formalmente”. Una elaborazione teologica molto più complessa della “spy-story” a cui l’articolo riduce il tutto

    1. La messa conciliare è il frutto della riforma liturgica, non imposta ma donata ai credenti dai padri della chiesa in comunione col papa. Don Marco questo non lo accettava ed era lui ad IMPORRE ai suoi parrocchiani (c’ero anchio tra loro)il rito tridentino. Ricordo il mio disgusto quando durante la messa di un funerale Don Marco cantava con impegno e “gusto” il Dies Irae, per fortuna che i familiari del defunto probabilmente non comprendevano il latino.Anche questo dimostrava la “sensibilità” del parroco-pastore di allora.Sul secondo punto Fabio non può cavarsela senza dare chiare spiegazioni, al di là dell’articolato e di teologi( quali? )visto che di teologi sgagherati sono sempre esistiti ( ad es. della morte di Dio anni fa tanto per non fare nomi). Il materialmente contrapposto a formalmente è crassa ignoranza filosofica prima che teologica

    2. Fabio scrive: “abbondantemente riscoperta da fedeli di ogni età, soprattutto giovani”. Ricordo che anche lo scrivente,quando venne introdotta la riforma liturgica conciliare,era giovane. Allora per tutti,anziani e giovani,fu non una ‘novità’ ma una vera manifestazione dei segni dei tempi,la percezione di presenza dello Spirito in mezzo a noi (invito as imparare a memoria,in latino,per poi recitarlo ogni volta che si entra in chiesa,io lo faccio:”Veni,sancte Spiritus,mentes tuorum visita ,imple superna gratia …”.Sui giovani di ALLORA: sorgevano le comunità giovanili parrocchiali,impegnati a rendere sempre migliore la celebrazione eucaristica,con canti,invocazioni,gesti concreti,presentazione offerte, distribuzione foglietti,e via dicendo.Per tutta la vita io che oggi ho passato i settanta sono rimasto quel giovane,e la mia voce nei giorni di don Marco a Garbagna è rimasta inascoltata,mentre rispetto e gioiscobse oggi ci sono giovani che riscoprono la messa preconciliare, ma che abbiano il coraggio di correggere i (tanti?) don Marco sedevacantisti.

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