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Roberto Calasso, Ciò che si trova solo in Baudelaire

Se dovessi scegliere una forma di scrittura e di pensiero ideale, sceglierei quella che procede per illuminazioni, propria di Baudelaire. Benché necessaria, la scrittura argomentativa e deduttiva, non avrà mai la stessa potenza profetica della scrittura che procede per successive illuminazioni. Evidentemente la pensava come me anche Roberto Calasso, anche se è più opportuno dire che sono io a pensarla come lui.

“Ciò che si trova solo in Baudelaire” edito, naturalmente, da Adelphi, è una sorta di breviario delle peculiarità della scrittura, della poesia, ma anche del tema caro a Charles Baudelaire, “essere naturalmente metafisico”, come lo definisce l’autore. Che si tratti dei suoi incipit speculativi, di una “correspondance”, di una lettera, di un saggio o di un sogno, Baudelaire è poco incline al ragionamento prolungato e consequenziale. Irresistibilmente attratto da “tutta la mostruosità” che avvolge l’uomo, di Victor Hugo apprezzò la sua capacità di attraversare l’intero repertorio umano ed a caratterizzare la prima parte del prezioso volumetto, è proprio la volontà di Calasso di voler evidenziare l’assoluta originalità di Baudelaire anche comparativamente con grandi e grandissimi della letteratura francese da Gautier a Saint-Beuve, da Diderot a Stendhal e appunto a Victor Hugo. Baudelaire è un a-sistematico per eccellenza e così la dottrina delle “corrispondances” è il vero nocciolo dell’interesse di Calasso e ne costituisce la struttura del piccolo e bellissimo volumetto “Adelphi” che si confà a questa esigenza di improvvise illuminazioni, potremmo dire “illuminazioni di illuminazioni”; alcune di rara bellezza, come quelle sull’artista che Baudelaire definiva “il pittore della vita moderna”, ovvero l’incisore e illustratore Constantin Guys che disegnava per l’ “Illustrated London News”.

Una opinione imbarazzante da sostenere nella Francia dei Salons, un paragone insostenibile per i tromboni dell’arte. In fondo Guys era “solo” un illustratore e per l’epoca questo era quasi disdicevole. Invece per Baudelaire proprio “l’assenza totale di antichità” nelle sue tavole, dà, quella che poi Aragon definì “la vertigine del moderno”.

Del resto il bello, scrive Baudelaire, “È fatto di un elemento eterno, invariabile (…) e di un elemento relativo, circostanziale…” È noto che Baudelaire ha sempre manifestato per l’illustrazione un’attenzione quasi morbosa, tanto da fremere di desiderio, nella sua casa di Honfleur, nell’attesa dell’arrivo del “Journal des dames” del grande disegnatore Pierre de La Mésangère. Ma il volumetto di Calasso esplora tutte le passioni, dalle più riposte alle più palesi di Baudelaire, come per esempio la venerazione per Edgar Allan Poe e onirica e piena di fascino è la narrazione del suo desiderio di offrire la prima copia della traduzione di “Histoires extra-ordinaires” di Poe alla maîtresse di un grande bordello parigino. Un libretto-scrigno che racchiude non solo “fleurs du mal”, ma tante piccole gemme filosofiche e tante singolarità del poeta e scrittore francese. Se avete letto il sontuoso “La Folie Baudelaire” edito sempre da Adelphi, di qualche anno fa, non potete mancare questo piccolo ma indispensabile compendio all’opera di un antesignano della modernità.

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Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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