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Depressi da Covid, lo studio dell’università di Torino

Depressi da Covid, lo studio dell’università di Torino. Due studi condotti durante la pandemia, tra il 19 marzo e il 5 aprile e recentemente pubblicati su riviste scientifiche internazionali, hanno indagato i livelli di ansia, depressione e di sintomi da stress post-traumatico (PTSS) nella popolazione generale e negli operatori sanitari. I due studi sono stati condotti dal gruppo di ricerca “ReMind the Body”, coordinato dal professor Lorys Castelli del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

Il primo studio, pubblicato sulla rivista The Canadian Journal of Psychiatry, è stato condotto su 1321 partecipanti provenienti da diverse zone d’Italia. Ai partecipanti è stato richiesto di compilare una serie di questionari, attraverso una survey online anonima. I risultati hanno messo in luce non solo un’elevata percentuale di individui che presentano sintomi di ansia e depressione clinicamente rilevanti, rispettivamente 69% e 31%, ma anche un’elevata prevalenza di sintomi da stress post-traumatico. Il 20% del campione riferisce infatti la presenza di significativi PTSS che, come evidenzia la letteratura scientifica, tendono ad aggravarsi nel tempo e che possono sfociare in veri e propri disturbi da stress post-traumatico. Dalla analisi effettuate emerge che i soggetti più a rischio per lo sviluppo di PTSS sono le donne, i soggetti con bassi livelli di scolarità e coloro che sono entrati in contatto con pazienti Covid-19 positivi.

 

 

Il secondo studio, condotto sugli operatori sanitari e pubblicato sul Journal of Evaluation in Clinical Practice, è stato condotto su 145 operatori sanitari (72 medici e 73 infermieri), confrontando i sintomi psicopatologici (ansia, depressione e PTSS) tra gli operatori sanitari che stavano lavorando nei reparti Covid-19 (63), vale a dire con pazienti Covid positivi, e quelli che lavoravano in altre unità ospedaliere (82) e non erano quindi a contatto con pazienti Covid positivi. I risultati hanno messo in luce che i primi riportano livelli significativamente più elevati sia di depressione sia di PTSS rispetto ai secondi. Inoltre, tra i professionisti sanitari impegnati nei reparti Covid-19, l’essere donna e l’essere single rappresentano fattori di rischio per i sintomi depressivi mentre l’essere donna e avere un’età più avanzata sono associati a maggiori livelli di PTSS.

Questi risultati, oltre a evidenziare l’impatto drammatico dell’epidemia in atto sulla salute mentale della popolazione italiana e in particolare sugli operatori sanitari impegnati in prima linea nella lotta al Covid-19, evidenziano la necessità di mettere in atto tempestivi programmi di screening, volti a identificare le persone con livelli di psicopatologia clinicamente rilevanti.

È infatti noto che i disturbi psicologici/psichiatrici, come la depressione, possano avere un peso importante anche sulla salute fisica. Le persone che sviluppano depressione, ad esempio, hanno maggiori probabilità di andare incontro a determinate patologie mediche, come l’infarto del miocardio. La presenza di sintomi psicopatologici clinicamente rilevanti non rappresenta quindi solamente un problema di per sé ma ha ampie ricadute a lungo termine sulla salute psico-fisica dell’individuo.

Gli strumenti di screening psicologico permettono di identificare i soggetti che presentano una sintomatologia clinicamente rilevante e, attraverso successive valutazioni, di monitorarne l’andamento nel tempo. Tale procedura, qualora venisse applicata su larga scala, renderebbe possibile proporre degli interventi psicologici mirati (sportelli di ascolto, sostegno psicologico, psicoterapia) che si tradurrebbero in un beneficio per i soggetti che presentano disagio psicologico e in un risparmio economico per il sistema sanitario sul lungo periodo, in termini di minori ricadute psicofisiche e minor richiesta di cure.

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