Cia: «Produzione mais a rischio (-50%) a causa della siccità mentre hedge fund affondano prezzo»

Senza pioggia entro 10 giorni l'annata sarà irrecuperabile, con effetto a valanga per alimentazione bestiame e produzioni agroalimentari d'eccellenza. Autosufficienza al 30%

Ancora altri 10 giorni di siccità e la produzione nazionale di mais rischia di essere irrecuperabile. Senza piogge, Cia-Agricoltori Italiani stima un crollo del 50% con una resa di 40/50 quintali per ettaro, paragonabile all’annus horribilis del 2003. Il livello di autosufficienza calerebbe al 30%, con effetto a valanga per l’alimentazione del bestiame delle nostre stalle e per tutte le eccellenze del Made in Italy. Al danno, la beffa arriva per gli agricoltori dalla finanza internazionale -hedge fund e fondi speculativi-, che sta affondando il prezzo del mais, arrivato a 35 euro/qt e destinato a scendere ancora, noncurante della forte contrazione sul mercato globale dopo il conflitto ucraino. Secondo Cia, a fronte di una spesa media per ettaro schizzata a 3mila euro dopo i rincari energetici e dei fertilizzanti, al cerealicoltore servirebbero almeno 40euro/qt per raggiungere un risicato pareggio.

La mancanza di acqua nelle settimane cruciali di sviluppo della pianta avrebbe effetti catastrofici sul raccolto a settembre, che sarebbe scarso e mal pagato. Il risultato di una tale annata porterebbe la maggior parte delle aziende agricole, scoraggiate dall’aumento dei costi e dagli effetti della siccità, ad abbandonare questa coltura, di cui fino a 20 anni fa l’Italia era autosufficiente all’80%. Tutta la zootecnia nazionale sarebbe sempre più in balia dell’import ed esposta alla volatilità dei prezzi, decisi sulla testa degli agricoltori dalle speculazioni dei mercati finanziari e slegati dalle dinamiche della domanda e dell’offerta.

Fra i rincari più pesanti per le aziende cerealicole si segnalano i costi per il fabbisogno idrico (laddove sia ancora possibile e non ci siano razionamenti da parte dei Consorzi di bonifica), che dagli abituali 150 euro per ettaro sono saliti a più di 400, dovendo implementare l’irrigazione per le altissime temperature di queste settimane. Lo scenario così negativo sta, addirittura, inducendo alcuni a non investire nelle irrigazioni di emergenza, convinti che il costo maggiorato non verrebbe ripagato in fase di commercializzazione del mais in autunno. 

Cia reputa che anche la deroga Ue sulla coltivazione delle aree a riposo abbia sortito pochi effetti nello stimolare la ripresa della produzione nazionale di mais. Se la superficie coltivata era, persino, scesa del 6% nell’ultima semina, la siccità e i fattori produttivi alle stelle potrebbero far desistere molti cerealicoltori italiani a investire nuovamente nel granturco.

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Cia: «Produzione mais a rischio (-50%) a causa della siccità mentre hedge fund affondano prezzo»

Senza pioggia entro 10 giorni l’annata sarà irrecuperabile, con effetto a valanga per alimentazione bestiame e produzioni agroalimentari d’eccellenza. Autosufficienza al 30%

Ancora altri 10 giorni di siccità e la produzione nazionale di mais rischia di essere irrecuperabile. Senza piogge, Cia-Agricoltori Italiani stima un crollo del 50% con una resa di 40/50 quintali per ettaro, paragonabile all’annus horribilis del 2003. Il livello di autosufficienza calerebbe al 30%, con effetto a valanga per l’alimentazione del bestiame delle nostre stalle e per tutte le eccellenze del Made in Italy. Al danno, la beffa arriva per gli agricoltori dalla finanza internazionale -hedge fund e fondi speculativi-, che sta affondando il prezzo del mais, arrivato a 35 euro/qt e destinato a scendere ancora, noncurante della forte contrazione sul mercato globale dopo il conflitto ucraino. Secondo Cia, a fronte di una spesa media per ettaro schizzata a 3mila euro dopo i rincari energetici e dei fertilizzanti, al cerealicoltore servirebbero almeno 40euro/qt per raggiungere un risicato pareggio.

La mancanza di acqua nelle settimane cruciali di sviluppo della pianta avrebbe effetti catastrofici sul raccolto a settembre, che sarebbe scarso e mal pagato. Il risultato di una tale annata porterebbe la maggior parte delle aziende agricole, scoraggiate dall’aumento dei costi e dagli effetti della siccità, ad abbandonare questa coltura, di cui fino a 20 anni fa l’Italia era autosufficiente all’80%. Tutta la zootecnia nazionale sarebbe sempre più in balia dell’import ed esposta alla volatilità dei prezzi, decisi sulla testa degli agricoltori dalle speculazioni dei mercati finanziari e slegati dalle dinamiche della domanda e dell’offerta.

Fra i rincari più pesanti per le aziende cerealicole si segnalano i costi per il fabbisogno idrico (laddove sia ancora possibile e non ci siano razionamenti da parte dei Consorzi di bonifica), che dagli abituali 150 euro per ettaro sono saliti a più di 400, dovendo implementare l’irrigazione per le altissime temperature di queste settimane. Lo scenario così negativo sta, addirittura, inducendo alcuni a non investire nelle irrigazioni di emergenza, convinti che il costo maggiorato non verrebbe ripagato in fase di commercializzazione del mais in autunno. 

Cia reputa che anche la deroga Ue sulla coltivazione delle aree a riposo abbia sortito pochi effetti nello stimolare la ripresa della produzione nazionale di mais. Se la superficie coltivata era, persino, scesa del 6% nell’ultima semina, la siccità e i fattori produttivi alle stelle potrebbero far desistere molti cerealicoltori italiani a investire nuovamente nel granturco.

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