Vini Italiani ma vitigni francesi: l’Italia delle Guide

Un paese di guide (e di punteggi). Ogni autunno, puntuale come la vendemmia, arriva il momento delle guide ai vini italiani. È una stagione di voti e riconoscimenti: bicchieri, grappoli, cuori, stelle e centesimi che decretano i “migliori” d’Italia. Ma cosa succede se proviamo a mettere insieme tutti i giudizi, incrociando le valutazioni di Gambero Rosso, Veronelli, AIS, Bibenda, DoctorWine, Slow Wine e Vitae? Chi emerge davvero al vertice, al di là delle singole preferenze?

Tante lingue per dire “buono”. Ogni guida parla un linguaggio proprio. C’è chi usa i bicchieri, chi i grappoli, chi le stelle o i centesimi. C’è chi valuta la tecnica, chi la coerenza territoriale, chi l’emozione pura. Un 95 di una guida può equivalere a un “Tre Bicchieri”, ma non è detto. Questa molteplicità è una ricchezza, ma anche un labirinto. E da anni qualcuno prova a trovare la chiave per tradurla.

La “superclassifica” che mette d’accordo tutti. Quel qualcuno è Civiltà del bere, che da anni pubblica la Top delle Guide Vini, una meta-classifica costruita incrociando i risultati di sei guide italiane: AIS Vitae, Bibenda, DoctorWine, Gambero Rosso, Slow Wine e Veronelli. Un tentativo, riuscito, di misurare la reputazione cumulata dei vini italiani. L’edizione 2025 ha confermato tre nomi simbolo dell’eccellenza nazionale:

  1. Sassicaia – Tenuta San Guido (Toscana)
    Vitigni: Cabernet Sauvignon (85%) e Cabernet Franc (15%)
    Il mito dei Super Tuscan;
  2. San Leonardo – Tenuta San Leonardo (Trentino)
    Vitigni: Cabernet Sauvignon, Carmenère e Merlot
    Un taglio “bordolese” di montagna;
  3. Ben Ryé – Donnafugata (Pantelleria, Sicilia)
    Vitigno: Zibibbo (Moscato d’Alessandria).

Ed è curioso — e forse significativo — notare che due dei tre vini più premiati d’Italia nascono da vitigni francesi e da un’idea di vino ispirata al modello bordolese, fatta di blend e di lavoro in cantina. Solo il terzo, il Ben Ryé, è un monovarietale autoctono, frutto di un’uva mediterranea antichissima come lo Zibibbo. Ma frutto anche in questo caso di un lungo lavoro in cantina. Un piccolo paradosso. Due dei migliori vini italiani hanno il cuore francese.

L’altra vetta: l’Alto Adige dei record. Mentre questi nomi si confermano in cima alle guide, l’Alto Adige scrive la sua storia di precisione e costanza. Secondo il consorzio Alto Adige Wines, i vini della regione hanno raccolto 419 punteggi massimi nelle ultime edizioni delle principali guide italiane — un primato impressionante. Il campione assoluto? Il Lagrein Riserva “Taber” 2021 della Cantina Bolzano, con sette massimi riconoscimenti su sette guide. Subito dietro:

  • Pinot Nero Riserva “Trattmann” 2020 – Cantina Girlan
  • Sauvignon Riserva “Renaissance” 2020 – Markus Prackwieser – Gump Hof
  • Gewürztraminer “Nussbaumer” 2021 – Cantina Tramin

Tutti con sei punteggi massimi. Un dominio discreto ma continuo, che conferma la regione come laboratorio d’eccellenza enologica. Ma anche qui vitigni buona presenza di vitigni francesi, due su quattro.

Sommare i voti, ma con giudizio. Sommare i punteggi, tuttavia, non significa decretare una verità assoluta. Ogni guida ha la propria visione: Slow Wine valuta il legame con il territorio, DoctorWine la coerenza stilistica, Bibenda la completezza sensoriale, Veronelli la classicità, AIS l’armonia tecnica. Mettere tutto insieme serve a capire quali vini convincono trasversalmente — non solo una scuola di pensiero, ma l’intero sistema. Come ricordava Luigi Veronelli, “la critica enologica non è contabilità, è letteratura della terra”. Eppure, in un’epoca di dati e algoritmi, anche il vino si trova a fare i conti — letteralmente — con la somma dei suoi riconoscimenti.

Il bicchiere mezzo pieno. Oggi il punteggio ha perso un po’ della sua aura mitica, ma non il suo potere simbolico. Non basta contare i bicchieri o le stelle: bisogna guardare chi riesce a metterle d’accordo tutte.E in questo senso, Sassicaia, San Leonardo e Ben Ryé, insieme ai Lagrein, Pinot Nero, Sauvignon e Gewürztraminer dell’Alto Adige, rappresentano l’Italia del vino chee però sembra poco Italia.

allappante.it

Condividi:

Facebook
WhatsApp
Telegram
Email
Twitter

© 2025 La Voce di Novara - Riproduzione Riservata
Iscrizione al registro della stampa presso il Tribunale di Novara

Immagine di Riccardo Milan

Riccardo Milan

Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.

Condividi l'articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

SEGUICI SUI SOCIAL

Sezioni

Vini Italiani ma vitigni francesi: l’Italia delle Guide

Un paese di guide (e di punteggi). Ogni autunno, puntuale come la vendemmia, arriva il momento delle guide ai vini italiani. È una stagione di voti e riconoscimenti: bicchieri, grappoli, cuori, stelle e centesimi che decretano i “migliori” d’Italia. Ma cosa succede se proviamo a mettere insieme tutti i giudizi, incrociando le valutazioni di Gambero Rosso, Veronelli, AIS, Bibenda, DoctorWine, Slow Wine e Vitae? Chi emerge davvero al vertice, al di là delle singole preferenze?

Tante lingue per dire “buono”. Ogni guida parla un linguaggio proprio. C’è chi usa i bicchieri, chi i grappoli, chi le stelle o i centesimi. C’è chi valuta la tecnica, chi la coerenza territoriale, chi l’emozione pura. Un 95 di una guida può equivalere a un “Tre Bicchieri”, ma non è detto. Questa molteplicità è una ricchezza, ma anche un labirinto. E da anni qualcuno prova a trovare la chiave per tradurla.

La “superclassifica” che mette d’accordo tutti. Quel qualcuno è Civiltà del bere, che da anni pubblica la Top delle Guide Vini, una meta-classifica costruita incrociando i risultati di sei guide italiane: AIS Vitae, Bibenda, DoctorWine, Gambero Rosso, Slow Wine e Veronelli. Un tentativo, riuscito, di misurare la reputazione cumulata dei vini italiani. L’edizione 2025 ha confermato tre nomi simbolo dell’eccellenza nazionale:

  1. Sassicaia – Tenuta San Guido (Toscana)
    Vitigni: Cabernet Sauvignon (85%) e Cabernet Franc (15%)
    Il mito dei Super Tuscan;
  2. San Leonardo – Tenuta San Leonardo (Trentino)
    Vitigni: Cabernet Sauvignon, Carmenère e Merlot
    Un taglio “bordolese” di montagna;
  3. Ben Ryé – Donnafugata (Pantelleria, Sicilia)
    Vitigno: Zibibbo (Moscato d’Alessandria).

Ed è curioso — e forse significativo — notare che due dei tre vini più premiati d’Italia nascono da vitigni francesi e da un’idea di vino ispirata al modello bordolese, fatta di blend e di lavoro in cantina. Solo il terzo, il Ben Ryé, è un monovarietale autoctono, frutto di un’uva mediterranea antichissima come lo Zibibbo. Ma frutto anche in questo caso di un lungo lavoro in cantina. Un piccolo paradosso. Due dei migliori vini italiani hanno il cuore francese.

L’altra vetta: l’Alto Adige dei record. Mentre questi nomi si confermano in cima alle guide, l’Alto Adige scrive la sua storia di precisione e costanza. Secondo il consorzio Alto Adige Wines, i vini della regione hanno raccolto 419 punteggi massimi nelle ultime edizioni delle principali guide italiane — un primato impressionante. Il campione assoluto? Il Lagrein Riserva “Taber” 2021 della Cantina Bolzano, con sette massimi riconoscimenti su sette guide. Subito dietro:

  • Pinot Nero Riserva “Trattmann” 2020 – Cantina Girlan
  • Sauvignon Riserva “Renaissance” 2020 – Markus Prackwieser – Gump Hof
  • Gewürztraminer “Nussbaumer” 2021 – Cantina Tramin

Tutti con sei punteggi massimi. Un dominio discreto ma continuo, che conferma la regione come laboratorio d’eccellenza enologica. Ma anche qui vitigni buona presenza di vitigni francesi, due su quattro.

Sommare i voti, ma con giudizio. Sommare i punteggi, tuttavia, non significa decretare una verità assoluta. Ogni guida ha la propria visione: Slow Wine valuta il legame con il territorio, DoctorWine la coerenza stilistica, Bibenda la completezza sensoriale, Veronelli la classicità, AIS l’armonia tecnica. Mettere tutto insieme serve a capire quali vini convincono trasversalmente — non solo una scuola di pensiero, ma l’intero sistema. Come ricordava Luigi Veronelli, “la critica enologica non è contabilità, è letteratura della terra”. Eppure, in un’epoca di dati e algoritmi, anche il vino si trova a fare i conti — letteralmente — con la somma dei suoi riconoscimenti.

Il bicchiere mezzo pieno. Oggi il punteggio ha perso un po’ della sua aura mitica, ma non il suo potere simbolico. Non basta contare i bicchieri o le stelle: bisogna guardare chi riesce a metterle d’accordo tutte.E in questo senso, Sassicaia, San Leonardo e Ben Ryé, insieme ai Lagrein, Pinot Nero, Sauvignon e Gewürztraminer dell’Alto Adige, rappresentano l’Italia del vino chee però sembra poco Italia.

allappante.it

© 2025 La Voce di Novara
Riproduzione Riservata

Immagine di Riccardo Milan

Riccardo Milan

Riccardo Milan è professore, giornalista e blogger. Lavora alla scuola alberghiera di Stresa ed è pubblicista dal 1999. Da meno, è blogger con Allappante.it. Si è occupato per anni di cultura materiale, studente, scrittore e docente: vino, birra, gastronomia, cucina per lo più tipica, storia delle tradizioni. Sommelier ed idrosommelier per diletto. Vive sul Lago d’Orta.