Dopo trent’anni di promesse, marce indietro, annunci e stop, la notizia è che finalmente la gara per la costruzione del nuovo ospedale di Novara è stata formalmente affidata. Il progetto in viale Piazza d’Armi sarà realizzato dal raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) composto dal Consorzio stabile Sis (della famiglia Dogliani) e da Abp Nocivelli, società di Castegnato in provincia di Brescia. Un passo avanti fondamentale, certamente, ma il trionfalismo delle ultime ore suona stonato.
Il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore alla Sanità Federico Riboldi si sono affrettati a celebrare «il rispetto delle tempistiche», la «svolta decisiva», il «salvataggio» dei 190 milioni di euro di finanziamento ministeriale. Ma davvero si crede che i novaresi non si ricordino i trent’anni di ritardi, proroghe, gare deserte, bandi riscritti e soldi pubblici buttati? Oltre al progetto pronto a partire nel 2019 e stoppato con promesse di risparmi?
Il percorso della cosiddetta Città della Salute è stato tutt’altro che lineare. Una gara bandita, poi rinviata, poi deserta, poi rilanciata. Bando prorogato più volte (fino al 20 dicembre 2024), aumento dei costi di oltre 200 milioni rispetto al progetto iniziale, due milioni in più spesi solo tra consulenze, progettazioni e rinvii. Altro che cronoprogramma rispettato: questa è una corsa a ostacoli che ha finito per logorare la fiducia dei cittadini.
E ora, mentre si affida l’unica offerta arrivata, si fa finta che sia tutto nei tempi. No, non lo è. E chi governa dovrebbe avere l’onestà di riconoscerlo, invece di vendere la normalità come un successo. Anche perché, al netto dell’affidamento, i lavori veri non sono ancora partiti e le immagini parlano chiaro: da oggi comincia un nuovo capitolo – lungo e tutt’altro che scontato. Entro un anno si dovrà arrivare a una progettazione definitiva, compatibile con tutte le richieste del capitolato, e poi firmare il contratto. Solo dopo si potrà mettere la prima pietra e avviare un cantiere che, sulla carta, dovrebbe durare quattro anni.
È lecito sperare, è necessario farlo. La città e il territorio hanno bisogno urgente di un nuovo ospedale, e la sanità pubblica ha fame di strutture moderne, efficienti, dignitose e dove poter lavorare ed essere assistiti al meglio. E poi, che sia chiaro a tutti: il problema non si risolve con il cemento. Un ospedale con personale allo stremo, senza nuovi contratti, senza assunzioni, senza stipendi all’altezza e senza servizi funzionanti, resta una cattedrale nel deserto.
Il rischio è questo: inaugurare tra quattro o cinque anni un edificio nuovo di zecca (e tutti ce lo auguriamo, ben inteso) ma continuare ad affrontare gli stessi problemi attuali, se non peggiori. Serve una visione, non solo una facciata. Altrimenti, anche questa volta, si sarà persa un’occasione storica.