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La Voce dell’estate – L’Erbaluce di Caluso, una denominazione “citata” da un gioielliere di Casa Savoia

Fu Giovanni Battista Croce, orafo al servizio del duca Carlo Emanuele I agli inizi del XVII secolo, a parlare per la prima volta di questo vino, un bianco molto apprezzato anche nelle sue tipologie Spumante e Passito

Giovanni Battista Croce. Chi sarà mai costui? Non un agronomo e neppure un “bottigliere” (termine molto vintage per descrivere un addetto ai lavori del settore di qualche secolo fa), ma piuttosto un orafo e gioielliere al servizio di Casa Savoia, nello specifico del duca Carlo Emanuele I, colui che fece realizzare tra l’altro un gioiello architettonico come il Santuario di Vicoforte dove ha poi trovato sepoltura.


Al Croce, che coltivava una certa passione anche per l’enologia, si deve una curiosa e interessante pubblicazione del 1606 – “Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno” – rieditata poi all’inizio del nostro secolo dalla Sorì di Torino per conto dell’Enoteca del Piemonte, dove viene raccontata la produzione appunto dei vini attorno al capoluogo subalpino (la fascia collinare all’epoca impropriamente chiamata “montagna”). Parlando e descrivendo i vitigni a bacca nera e bianca, fra le migliori qualità di quest’ultima indicò l’“Erbalus”, nome originato probabilmente dal colore che assumono gli acini in autunno, dove i riflessi dalle tonalità calde si accentuano nelle parti esposte al sole.


Forse senza neppure saperlo era stata “creata” (o meglio, “indicata”) l’Erbaluce di Caluso, denominazione che richiama la località canavesana a pochi chilometri da Ivrea, prodotta esclusivamente con uve dello stesso vitigno allevate in un territorio che oltre a questa zona “madre” sconfina anche nel Biellese e nel Vercellese.

Ottenuto il riconoscimento di denominazione di origine controllata e garantita nel 2010, l’Erbaluce di Caluso è uno dei pochi vitigni che permette la produzione di tre tipologie di vino differenti. Oltre al classico fermo, ancora più apprezzabile dopo qualche anno di invecchiamento, vi sono infatti lo Spumante, che può essere prodotto esclusivamente con il metodo classico, dalla spuma leggera e persistente, ma soprattutto il Passito, realizzato posizionando inizialmente i grappoli in particolari locali dove stazionano per circa cinque mesi (generalmente il mese di febbraio successivo alla vendemmia). Anche qui l’invecchiamento è fondamentale: devono trascorrere infatti almeno tre anni (quattro per la versione riserva) prima della commercializzazione, ma è proprio in questa versione che – a detta degli esperti – questo vitigno riesce a esprimere i suoi valori migliori.

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Luca Mattioli

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