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Racconta Giorgio Caproni che l’idea di raffigurare mediante il personaggio di Enea lo smarrimento e il disorientamento che permeava il clima del secondo dopoguerra gli venne mentre passeggiava per la sua Genova, scorgendo un monumento che ritrae l’eroe troiano che fugge recando sulle spalle il vecchio Anchise e tenendo per mano il giovane Ascanio, in una piazza Bandiera semidistrutta dai bombardamenti. In quella figura che, stagliandosi su un paesaggio urbano devastato dalla furia della guerra, tenta contemporaneamente di salvare quanto restava di una tradizione gloriosa e di dare la possibilità a un futuro ancora malcerto e fragile di prendere una forma compiuta, il grande poeta condensa il senso di ineluttabile dissoluzione di qualsiasi punto di riferimento che pervadeva la generazione che aveva assistito con un sentimento di crescente impotenza alla distruzione dei miti e delle istituzioni con cui era cresciuta e, nello stesso tempo, dà forma a un universo di significati che hanno mantenuto nel tempo la capacità di descrivere il nostro tempo quale tempo essenzialmente di passaggio.

Questa vertigine è restituita in modo magistrale dalle superbe pagine de Il lavoro dello spirito, il saggio di Massimo Cacciari appena arrivato in libreria per i tipi di Adelphi nella preziosa collana Piccola Biblioteca. Nato dalla lunga frequentazione del pensiero di Max Weber, lo scritto ruota intorno a una lucida e appassionata difesa dello spazio del Politico nell’età contemporanea, nonostante il progressivo dispiegarsi degli effetti di quella che Karl Polany ha definito “la grande trasformazione” – richiamata letteralmente nel testo di Cacciari, anche se l’autore austriaco non viene citato esplicitamente – sembra averlo relegato a una funzione residuale.

 

 

L’argomentazione di Cacciari muove individuando quale fondamento di tale trasformazione la definizione dei presupposti teorici, e la successiva affermazione nella pratica, del sistema della scienza, cui è inestricabilmente connesso il parallelo sviluppo della tecnica, quale metodo principe attraverso il quale gli uomini si mettono in relazione con l’ambiente esterno e definiscono i princìpi per regolare la convivenza all’interno dei gruppi in cui si svolge il corso della loro esistenza. Calcolo e razionalità hanno permesso di spezzare vincoli che parevano insuperabili, o meglio, hanno permesso di concepire l’idea stessa che esistono vincoli, che, quindi, in quanto tali possono essere superati. È questa l’idea di fondo del disincantamento descritto da Weber quale caratteristica del mondo moderno: non essendoci fenomeno che non possa essere indagato e compreso, non rimane più nulla a porsi come dato assoluto all’esterno della società umana. Un modo di pensare che secondo il sociologo tedesco incarna, verbo utilizzato da Cacciari in modo per nulla casuale per rendere questo aspetto della teoria weberiana, l’essenza dell’idea europea di scienza. E che acquista una centralità sempre maggiore man mano che gli effetti della sua applicazione concreta accrescono in modo impensato gli spazi individuali di libertà, fino a emarginare ogni approccio alternativo, ponendosi come unico criterio di azione possibile per qualsiasi aspetto della vita umana, non solo nella sua dimensione associata.

Ma, e qui giungiamo al cuore dello scritto del filosofo veneziano, questo processo genera il problema centrale della nostra epoca, la necessità di conciliare il contrasto tra la libertà individuale e l’ordine politico, perché i processi innescati dall’applicazione del sistema della scienza generano contraddizioni che non possono comporsi in virtù di meccanismi di autoregolazione. Dunque, la pura applicazione dei princìpi di razionalizzazione finisce ineluttabilmente per mettere a repentaglio gli stessi presupposti del processo e, di conseguenza, le acquisizioni raggiunte in termini di libertà che la continua rimozione dei vincoli favorisce. È questa deficienza immanente che impedisce al sistema della scienza di sostituire completamente il principio dell’autorità politica, che per le sue caratteristiche intrinseche è in grado di controllare le derive autodistruttive della dinamica emancipatoria.

Certo, nelle condizioni determinatesi con il passaggio all’epoca moderna tale funzione può essere svolta soltanto se il Politico rinuncia a pretese di assolutezza e, anzi, si pone risolutamente all’interno dell’orizzonte definito dai processi che generano libertà. Richiamandosi alle due celebri conferenze tenute da Weber a Monaco pochi mesi prima di morire a soli 56 anni, Cacciari individua nel lavoro intellettuale come professione, il lavoro dello spirito che dà il titolo al saggio, lo strumento principe per cercare di dare forma a dinamiche potenzialmente caotiche. L’analisi si dispiega esaminando in dettaglio le logiche che informano i due aspetti in cui si articola il lavoro intellettuale, lavoro scientifico e lavoro politico, intrecciandole tra loro e individuando il potenziale punto di equilibrio. Se il sistema della scienza per perseguire i suoi obiettivi con efficacia deve rispondere unicamente ai propri princìpi, riconoscendo di non avere al suo interno gli strumenti per valutare le conseguenze del suo operare e per fondare il sistema della libertà, tale compito definisce lo spazio di azione del Politico, che rappresenta la dimensione etica della professione, quella che non si risolve nel puro calcolo. Una dimensione etica che attraverso la responsabilità della decisione viene collocata nella prospettiva del sistema sociale. Il punto di incontro tra scienza e politica viene fissato dal reciproco riconoscimento dei rispettivi limiti, che deriva dall’assunzione della prospettiva della responsabilità. La responsabilità del Politico si situa, però, su un piano più universale, perché implica il riconoscimento degli ineliminabili elementi non razionalizzabili insiti in ogni decisione, che richiamano la dimensione valoriale. Decidere, infatti, significa ridurre l’incertezza connaturata al mondo sociale – e individuale – con un atto di volontà che non può essere interamente basato su elementi oggettivi; decidere responsabilmente significa avere consapevolezza del ruolo che la dimensione valoriale svolge in ogni scelta, assumendosene tutte le implicazioni.

L’orizzonte entro cui Weber pone questo processo di costruzione dell’ordine è risolutamente quello della democrazia, intesa come l’unico assetto istituzionale in grado di formare classi dirigenti responsabili nelle società esposte alla secolarizzazione. La democrazia, dunque, non è intesa da Weber come un assoluto e tanto meno un valore, ma come un assetto istituzionale in grado di assorbire le spinte disgreganti indotte dal disincantamento del mondo. È questa una delle intuizioni più fertili di Weber, che si era reso conto che la frammentazione e la pluralità sono irreversibili, ragion per cui riteneva assolutamente velleitario poter pensare di neutralizzarle restaurando semplicemente l’autorità del diritto borghese. Nel medesimo tempo, però, era perfettamente consapevole che, a motivo della natura stessa del processo avviato dalla grande trasformazione descritta da Polany, la composizione tra libertà individuale e autorità può avvenire anche attraverso logiche demagogico-plebiscitarie e che i sistemi democratici sono perennemente esposti alla sfida posta da questo modello, la cui debolezza principale risiede nel fatto di non essere in grado sul lungo periodo di costruire le condizioni per contenere le contraddizioni del processo emancipatorio e di impedirne, di conseguenza, gli esiti autodistruttivi.

Questi aspetti del pensiero di Weber sono analizzati da Cacciari in pagine di grande suggestione attraverso il serrato confronto con le riflessioni coeve di Thomas Mann. Confronto dal quale risalta la lucidità della visione weberiana, che meglio di ogni altra ha saputo cogliere l’essenza dei processi della modernità e la necessità di concepire nuovi modelli di azione per governarli senza farsene travolgere. Riprendendo l’immagine di Caproni, si potrebbe dire che in Weber c’è la consapevolezza che il mondo di Anchise è superato per sempre e che è necessario adattare alla nuova realtà i valori ancora utili che ha distillato per permettere ad Ascanio di intraprendere il suo cammino. Il punto è capire se c’è ancora qualcuno in grado di interpretare la parte di Enea.

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Giovanni A. Cerutti

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