Carpignano Sesia

App Immuni e Apple store

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Mia moglie mi chiama con un soprannome: “Mimich”. Non vi dirò il perché, ma vi dirò che quello fu il mio primo “nick”, anzi “nickname” con il quale mi registrai nel sito Apple, nel lontano 2008, quando acquistai il mio primo I-Phone. Nel 2009 feci un soggiorno a New York e non potei fare a meno di andare a fare una visita nel nuovo tempio della Apple a New York City: l’Apple Cube, uno scintillante ed impressionante “store” della company di Cuppertino. Il cubo di cristallo è proprio davanti a Central Park e di fronte al Plaza.

Entrai in un giorno di pioggia bagnato ed emozionato. Con mia grande sorpresa nel salire sull’ascensore circolare che portava nel gigantesco negozio, sento arrivare, con il classico cicalino, un messaggio sul mio I-Phone. Il messaggio diceva: “Welcome to the Apple Cube in New York City, dear Mimich. Entering on the right you will find a genius who will help you find what you want” ovvero “Benvenuto all’Apple Cube a New York City, caro Mimich.

Entrando sulla destra troverai un “genio” che ti aiuterà a trovare ciò che desideri”. Forse basterebbe questo, ma invece non basta, perché effettivamente un “genius” (un giovane commesso Apple) in maglietta blu mi si avvicina e mi dice che se ho bisogno di aiuto posso rivolgermi a lui, poi mi offre un caffé e mi chiede come va in Italia.

Noi invece abbiamo inventato l’App Immuni che, ci comunicano dalla regia, sembra non servire ad una beata fava. Già perché non si capisce come mai un positivo al Covid dovrebbe andare in giro con l’App Immuni accesa invece che starsene a casa sua in quarantena. E non si capisce che cacchio ci importa se un ex-positivo al Covid, una volta fatta la quarantena, con la sua bella Appa Immuni comunica alla nostra App Immuni che lui, un tempo, è stato positivo al Covid. Ieri, lo stesso Prof. Ranieri Guerra rappresentante italiano dell’OMS, ha espresso qualche dubbio sul funzionamento dei “tracciamenti” dei positivi.

Ma la “colpa” non è solo della App Immuni e nemmeno il merito è solo di Apple se con la funzione “trova il mio I-Phone” posso vedere dove è finito il mio telefono, il mio l-Pad o il mio Mac. La colpa è soprattutto nostra e della nostra venerazione di un concetto di “privacy” del tutto inadeguato ai tempi in cui ci troviamo a vivere. Siamo pronti a regalare i nostri dati a tutti, ai social postando la fotografia sotto la registrazione fatta ai piedi della Torre di Pisa o, nominando uno per uno (taggando), gli invitati al nostro matrimonio, al supermercato Esselunga, per via della raccolta punti che ci regalerà un copriletto o i bollini per la scuola, regaliamo i nostri dati all’outlet per avere lo sconto sul maglioncino di cashmere, li regaliamo al benzinaio, lasciamo le nostre tracce con le carte di credito, i bancomat, votando il cantante al Festival di Sanremo, compriamo decine di cose inutili su Amazon, abbiamo il Telepass, insomma siamo come dei bravi cagnolini che fanno un goccino di pipì ovunque per segnare il territorio.

Ma se qualcuno ci vuole tracciare seriamente, per evitare di finire, noi e far finire altri, attaccati ad un ventilatore polmonare, allora no! Levata di scudi! Noi dobbiamo difendere la nostra sacrosanta privacy! Possono sapere tutto di noi tranne se io sono stato a fare l’umarel davanti al cantiere della metropolitana, perché quella è una terribile violazione della privacy! Andare contro il Covid con l’App Immuni e i fogli dell’autocertificazione è come andare a cercare di fra male a Mike Tyson con la punta della biro.

Però vuoi mettere la soddisfazione?! Noi saremo morti, ma la privacy sarà salva!

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Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.

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