Nu Arts & Community, tra Dante, danza e musica: cala il sipario sulla sesta edizione

Quattro giorni intensi, fatti di voci, immagini, musica e una programmazione capace di intrecciare linguaggi diversi, ha accompagnato la sesta edizione di “Nu Arts & Community Festival”, appena conclusa. Un cartellone ampio, diffuso e trasversale, che ancora una volta ha trasformato alcuni dei luoghi simbolo della città in spazi vivi di narrazione e sperimentazione artistica.

Il poliedrico festival novarese, curato da Ricciarda Belgiojoso, aveva avuto inizio giovedì 13 novembre tra le mura del Castello Visconteo-Sforzesco con una originale presentazione del libro “Le scelte di Cristina Trivulzio” della storica Silvana Bartoli, edito da Olschki e che ha per sottotitolo “Storie di un’emancipazione”. Figura precorritrice dell’emancipazione femminile e grande progressista ante litteram, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, poco prima dell’Unità d’Italia, fece dell’impegno civile (e politico nel senso più nobile), una vera ragione di vita con tante iniziative a favore della popolazione di Locate Triulzi costruendo scuole, biblioteche e spazi dedicati al verde pubblico. Ne hanno amabilmente conversato, con l’autrice Silvana Bartoli, la responsabile del Circolo dei lettori di Novara, Paola Turchelli e Ricciarda Belgiojoso, che con Cristina ha anche remoti, ma evidenti legami di discendenza. La presentazione del libro è stata impreziosita dalle musiche dello Stabat Mater di Gioachino Rossini, cui Cristina Trivulzio era particolarmente legata.

Nella serata di giovedì presso il salone dell’Arengo del Broletto è la volta di una Lectura Dantis di grande suggestione con Andrea Gattinoni, e “I sette vizi capitali nella Divina Commedia”. Con musiche di Xabier Iriondo. A sentire dipanare il flusso ininterrotto dei versi che trattano appunto dei vizi capitali nella Commedia c’è da restare esterrefatti e anche un po’ sopraffatti dalla fantasmagorica elaborazione poetica ed intellettiva del suo autore. Ma nella sera autunnale e nell’austero salone, illuminato da infere luci rosse, la voce di Andrea Gattinoni rapisce il cuore e l’intelletto degli spettatori. L’occhio baluginante, il modulare e rimodulare la voce nell’andamento carsico del testo, non può non essere anche un omaggio o se si preferisce una citazione dell’attore che fu il teatro stesso ovvero il divino Carmelo Bene.

Il Festival novarese è costituito da eventi eterogenei, con un ampio spazio riservato alle produzioni locali, e momenti più tradizionali come gli appuntamenti con la grande musica, e in questo caso con vecchie glorie della musica groove romantico-ipnotico dei Casino Royale che negli anni ‘90, dopo inizi “alternativi” al Centro Sociale Leoncavallo di Milano hanno intrapreso una carriera di tutto rispetto in un ambito musicale un po’ al di fuori dei miei interessi. Una bella sorpresa del festival invece è stata l’esibizione dei giovani attori-cantanti della Scuola del Teatro Musicale (STM di Milano e Novara) che sulle tavole del fascinoso Piccolo Coccia hanno portato in scena un gustosissimo “résumé”, adattato alla recitazione e al canto, di un grande musical ovvero “Wiked”, del 2003 di Stephen Shwartz su libretto di Winnie Nolzman e tratto dalle articolate vicende del Mago di Oz. Ebbene sia la strega cattiva Elphaba che quella buona Glinda e gli altri tre personaggi, accompagnati validamente al pianoforte, hanno reso tutto molto meno americano e molto più europeo, in un equilibrato mix di raffinatezza e divertimento.

Domenica doppio appuntamento nell’austero salone dell’Arengo del Broletto con la danza contemporanea prima con la minimale, ma coinvolgente “tauromachia” di Fabritia d’Intino e Agnese Banti in “Comeback” co-produzione WeStart, Bolzano Danza ed altri e poi con “Bleah una performance di danza e musica con la coreografa Annamaria Ajmone e la sassofonista Laura Agnusdei ispirata alla poesia visiva di Lucia Marcucci coprodotta da “L’altra associazione” e “WeStart Centro di Produzione del Piemonte Orientale, mentre contemporaneamente (ed è stato un peccato) nella Sala delle vetrate del Castello iniziava “La musica dei primi italiani” con il quartetto di clarinetti del Conservatorio “Cantelli” di Novara che ha eseguito arie di Verdi, Puccini, Mascagni, dopo una dettagliata lezione del Maestro Zignani. Il titolo del concerto fa riferimento alla mostra attualmente in corso al Castello di Novara “L’Italia dei primi italiani.

Ritratto di una nazione appena nata”, curata da Elisabetta Chiodini, che espone quadri di autori noti e meno noti della grande pittura Ottocentesca italiana. Una tradizione espositiva che vede a Novara, da qualche anno, mostre di grande richiamo allestite da METS Percorsi d’arte e che si potrà visitare fino all’aprile 2026; sempre legata alla stessa mostra l’esibizione, sabato pomeriggio, “I canti dei primi italiani” con Pilar Bravo e il coro “Ad alta voce”. Il Festival ha proposto anche tanti altri appuntamenti come la performance “Lei” di Cabiria Teatro, realtà novarese piuttosto interessante, laboratori per anziani, concerti come quello di “Alsogood” tra jazz, hip hop ed elettronica presso lo Spazio Nòva (altra vivace realtà culturale della città) e nella stessa location Dj set con Lorenzo Morresi e Stefania Vos. Vorrei anche fare menzione delle attività svolte per le scuole e in particolare “Un scuola tanti sguardi” con la band Tamburi uniti” formata da alunni con diverse abilità del Liceo di Borgomanero/Gozzano, che porta avanti un sostanzioso progetto di inclusione sociale curata dal Prof. Raul Taranto.

Infine non si può non citare un singolare torneo di burraco nei locali del Club Unione ospitato all’interno dell’edificio del Teatro Coccia e organizzato dalla “Burraco Society” creata dal PR Paride Vitale e da un certo Maurizio Cattelan, un artista vagamente conosciuto anche al di fuori della “fatal Novara” di carducciana memoria, ma che con la città e i suoi festivals (da Novara Jazz a Nu Arts & Community) ha ormai una certa confidenza, se non proprio intimità.

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Immagine di Mario Grella

Mario Grella

Nato a Novara, vissuto mentalmente a Parigi, continua a credere che la vita reale sia un ottimo surrogato del web.