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Al Teatro Coccia lo stupore di un intramontabile Barbiere di Siviglia

La nuova produzione del teatro novarese ha messo in scena l'opera buffa rossiniana con una scelta di tradizione non banale

Nonostante sia una delle opere più replicate nei teatri di tutto il mondo, Il Barbierie di Siviglia non annoia mai. Forse perché la musica di Rossini è eternamente di tendenza e ogni volta che la si ascolta riesce sempre a stupire. Così come ha stupito piacevolmente la nuova produzione che il Teatro Coccia ha messo in scena lo scorso fine settimana proprio dell’opera buffa: tre repliche sold out con applausi tuonati dal pubblico in sala. Scene che al teatro novarese non si vedevano da tempo.

Merito senz’altro di scelte di tradizione, non banali, che hanno reso pienamente valore al repertorio operistico. A cominciare dalla regia di Alberto Jona, fedele al libretto, tratto molto apprezzabile soprattutto se si tiene conto del fatto che questi personaggi sono già di per sé caratteristici da non necessitare di alcuna lettura eccessiva.

Le scenografie di Matteo Capobianco – che richiamano l’allestimento in scena a Zurigo nel 2001 – sono decisive per rendere lo spettacolo davvero attraente. Ogni particolare è studiato nel dettaglio: la casa di Don Bartolo, esternamente resa con piastrelle in ceramica tipiche dell’Andalusia e internamente arredata in modo coerente al periodo storico, ruota su una pedana girevole che crea un’illusione ottica in grado di ammaliare il pubblico. Sullo sfondo suggestive ombre proiettate, coerenti con il resto della scena.

Coraggiosi i costumi di Silvia Lumes in una contrapposizione di colori cupi per i personaggi che rappresentano l’ancien régime (Bartolo, Basilio e Berta) e sgargianti per quelli che sono lo specchio dell’evoluzione della società (Figaro, il Conte e Rosina). Addirittura il coro di soldati nella scena finale del primo atto si spoglia di mantelli scuri per sfoggiare magliette e canottiere fosforescenti.

Abramo Rosalen, Basilio, senz’altro il miglior elemento del cast, interpreta una memorabile calunnia e tiene la parte dalla prima all’ultima battuta senza alcuna sbavatura. Dello stesso livello vocale il Don Bartolo di Michele Govi, basso di esperienza, convincente, dal registro profondo ben delineato, che lascia il segno.

Qualche incertezza, invece, la esprime il baritono Emmanuel Franco, Figaro, che nella parte finale del celeberrimo factotum arriva un po’ strozzato, forse complice anche una certa emozione nell’interpretare quella che è considerata l’aria più nota anche dai non amanti dell’opera. Nel corso della recita, però, si dimostra caldo e completo, riuscendo a riempire la scena con una decisa caricatura che il personaggio richiede.

Aya Wakizono, mezzosoprano giapponese ben noto al Rossini Opera Festival, veste i panni di una Rosina semplice ma moderna. Più ferrata nelle note acute che in quelle gravi.

Chuag Wang (il Conte di Almaviva), che al Coccia era aveva già interpretato il Don Ramiro di Cenerentola due stagioni fa, è un tenore acuto, a tratti sospirato: ci si aspetta più potenza vocale, ma come per Figaro, riesce a interpretare il personaggio in modo meritevole.

Giovanna Donadini, Berta, apprezzabile più per l’effetto scenico che per il timbro vocale. Bene nella parte di Fiorello e un ufficiale, Matteo Mollica.

Una menzione per Edoardo Sgariglia Moresi, allievo della Scuola del teatro musicale, attore e ballerino, che con aggraziate e divertenti movenze si dimostra preparato e capace nel ruolo di Ambrogio.

Pregevole il lavoro dell’Orchestra Filarmonica Italiana diretta dal Maestro Christopher Franklin, preciso e corretto, aderente allo spartito, vero e proprio purista della musica rossiniana.

Da segnalare il coro As.Li.Co., guidato dal Maestro Massimo Fiocchi Malaspina, presenza ormai fissa al Teatro Coccia, che come in altre occasioni si mostra all’altezza del ruolo.

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Cecilia Colli

Cecilia Colli

Novarese, giornalista professionista, ha lavorato per settimanali e tv. A La Voce di Novara ha il ruolo di direttore

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