Oggi, 9 maggio, mentre in tutta l’Unione si celebra la Festa dell’Europa, un gruppo di giovani novaresi di SerMais è a Sarajevo con il progetto Meridiano d’Europa. Non si tratta di una coincidenza: è un gesto carico di significato, tanto simbolico quanto politico. Sarajevo, luogo emblematico della fragilità europea nel secolo scorso, rappresenta oggi un crocevia tra memoria e futuro. È lì che questi ragazzi porteranno una riflessione sul senso dell’Europa, sulle sue promesse e sulle sue fragilità, in un momento storico in cui l’idea stessa di Unione sembra vivere una stagione di crisi e, insieme, di rinnovata possibilità.
In un tempo segnato da nuove guerre alle porte del continente, da crisi ambientali, sociali e istituzionali, il sogno europeo rischia di ridursi a un elenco di regole tecniche o a una fragile moneta comune. Ma l’Europa è – o dovrebbe essere – molto di più. La sua forza sta nell’idea politica che la sorregge, nella visione di lungo periodo che seppero formulare uomini come Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene. Quel documento, scritto in prigione durante la Seconda guerra mondiale, resta ancora oggi una delle più alte espressioni della speranza europea: un’Europa libera dalle sovranità nazionali assolute, capace di superare le divisioni e di costruire una comunità politica, solidale e democratica.
Ventotene non è un’utopia da manuale di storia, ma una bussola per il presente. Il Manifesto ci ricorda che l’unificazione dell’Europa non può essere solo economica o burocratica: deve essere innanzitutto politica. Significa dare all’Unione Europea strumenti e legittimità per agire con autorevolezza nei grandi scenari globali, ma anche per proteggere i diritti dei suoi cittadini, combattere le diseguaglianze, promuovere la pace. In altre parole: farne un vero soggetto politico sovranazionale.
I giovani novaresi a Sarajevo incarnano proprio questo spirito. Non sono turisti istituzionali, ma testimoni di un’Europa da costruire ogni giorno, a partire dai territori. È in città come Novara – in scuole, associazioni, piazze – che si può e si deve coltivare l’educazione europea, non come un obbligo didattico, ma come consapevolezza viva di far parte di una storia comune.
La Festa dell’Europa, ogni 9 maggio, dovrebbe essere un momento di riflessione collettiva, ma anche un’occasione di rilancio. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di cittadini europei che sappia pensare in grande, senza dimenticare le radici, e che rivendichi il diritto di vivere in un continente unito, giusto e solidale. L’Europa non si costruisce solo nei palazzi di Bruxelles, ma in ogni gesto che afferma la convivenza, la memoria e la speranza. Ventotene ci parla ancora. Sarajevo ci interpella. Novara può rispondere.