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Ristoratori pronti alla ripresa tra dubbi e incertezze

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25 maggio: almeno, sino al momento, sembrerebbe essere questa, con buona probabilità, la data per la ripresa dell’attività di bar e ristoranti. Ma, al di là della data in sé e delle misure di sicurezza, almeno quelle di protezione individuale, mancano ancora linee guida precise. Quel che sembra aleggiare tra alcuni ristoratori novaresi non è il senso di insofferenza o la protesta per prevedibili riduzioni di volumi d’affari, quanto piuttosto l’incertezza su come sarà la risposta dei clienti di fronte alle misure di sicurezza. Nel frattempo una buona parte ha attivato servizi di delivery o take away.

 

 

«I dati sui quali stiamo ipoteticamente ragionando ci danno la previsione di un 50% della riduzione di ingressi – dice Fabio Barozzi di Opificio Novara – perché immaginiamo di dover avere i tavoli a distanza di 2 metri uno dall’altro. Siamo ottimisti perché abbiamo una struttura divisa in tre sale, con tre zone. Ma, fino a quando non arriva un documento, una normativa da seguire, brancoliamo nel buio, stiamo solo immaginando. La parola d’ordine in questo momento è, e deve essere, ”buon senso”. Cosa mi immagino dal 25 in poi? Quello di cui sono certo: il desiderio della gente di tornare alla normalità; certo è che se si pensa di riaprire le attività dove all’ingresso c’è una persona che rileva la temperatura, personale che arriva al tavolo con guanti e mascherina…i divisori? Una cosa ridicola. La nostra paura più che altro è come reagirà la gente a quelle misure, perché sono misure che allontanano il cliente. Così non possiamo immaginarci un futuro roseo».

«Per la riapertura, al momento, sono solo ipotesi – dice Francesco Liguori del ristorante Long Jin di corso Torino –  Ho visto che perderemo metà dei coperti se non di più, mascherine e guanti non sono una novità perché già li utilizziamo per il servizio di home delivery e di take away che ho attivato con una mia piattaforma on line. Naturalmente rispetteremo tutti i dettami normativi e si ragionerà strada facendo;  con metà dei coperti non si potrà mantenere tutto il personale, una parte rimarrà in cassa integrazione. Sono fiducioso nella mia clientela, che è fidelizzata, ma se mi metto nei panni dei clienti…il ristorante deve dare il senso di convivialità e non  l’impressione di entrare in un ospedale…Dubito che ci sarà un ritorno alla “semi normalità” e non prevedo l’afflusso che avevamo prima ma abbiamo le spalle larghe, affronteremo anche questa situazione con lo spirito ottimistico che ci ha sempre contraddistinto».

«Non sappiamo neanche come reagiranno le persone a questa nuova situazione – aggiunge  Marta Marangon titolare del Cavallino Bianco di vicolo dell’Arco – Il ristorante è un momento di piacere, di socialità, di aggregazione, non è solo cibo. Non  riesco a vedere la mia attività con queste regole. Quel che mi strazia e l’incertezza.  Ci sarà una riduzione di posti dura da immaginare, ma non sappiamo quali saranno le decisioni finali e non abbiamo la certezza di cosa dobbiamo fare. Cosa mi spaventa? Il fatto che da tre mesi siamo in perdita e non so per quanto ancora ci toccherà sopperire a tutte le spese. Quel che serve oggi per rilanciare le nostre attività è la liquidità a fondo perduto. Al momento non penso di riaprire a queste condizioni: riapriremo a settembre, anche perché il nostro lavoro è più invernale».

 

 

 

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