È bastato un titolo, cinque parole: “Novara è una città morta”. E improvvisamente alcuni autorevoli rappresentanti tra i partiti attualmente più influenti si sono risvegliati, indignati, offesi, mobilitati. Prima in consiglio comunale, dove il capogruppo della Lega Gaetano Picozzi ha sentito il bisogno di intervenire: «Novara non è una città morta, tanti amici vengono qui e mi dicono che è un gioiello». E poi il segretario cittadino di Fratelli d’Italia, Daniele Andretta, che ha rilanciato sui social, a difesa dell’onore cittadino.
Insomma, si sono sentiti punti sul vivo. E forse è proprio questo il punto. Perché il nostro articolo non parlava né di marciapiedi né di vetrine illuminate. Non discuteva se Novara fosse carina, vivibile o ben amministrata. Parlava d’altro: non del traffico o del decoro urbano, ma di quella cultura del fastidio che accoglie ogni gesto di partecipazione come un disturbo.
Non è il silenzio a colpire, ma quel tono ironico, un po’ infastidito, con cui spesso vengono accolte le manifestazioni o le opinioni che escono dal coro. È un modo sottile, ma efficace, per spegnere le braci ancora accese del dibattito pubblico.
Le manifestazioni per la Palestina, a Novara, sono state un piccolo grido: una voce che diceva «ci siamo anche noi, vogliamo capire, vogliamo pensare». I commenti sprezzanti – sui social ne sono arrivati a centinaia – che le hanno seguite, quelli che le ridicolizzano, che chiedono ordine e silenzio, sono invece il vero volto di quella “città morta” di cui parlava l’articolo.
Una città che non tollera il rumore delle idee, che preferisce la calma piatta della provincia a qualsiasi vibrazione di democrazia.
Quando si scrive che una città è “morta”, non si parla del traffico o della movida. Si parla del cuore, della sensibilità, di quella scintilla che ti fa dire “questa cosa mi riguarda”. E se due rappresentanti della maggioranza hanno sentito il bisogno di replicare, allora forse il titolo non era poi così lontano dalla verità.
C’è una differenza grande tra una città viva e una città che semplicemente funziona. Si può avere un bel centro, strade pulite, negozi aperti e allo stesso tempo vivere in un luogo dove la vita collettiva scorre in superficie, senza mai toccare davvero nulla di profondo.
Il nostro giornale racconta la città ogni giorno nella sua interezza: nelle cronache, nei problemi, nelle buone notizie. Quando c’è da riconoscere un merito lo facciamo volentieri, quando serve una critica la facciamo con rispetto e con argomenti. È questo, in fondo, il nostro mestiere: raccontare, non compiacere.
E continueremo a farlo anche per le mobilitazioni che attraversano Novara, come quelle per Gaza, che ci restituiscono, al di là di ogni polemica, l’immagine di una città ancora capace di dire la sua, di confrontarsi, di pensare. Che è poi il contrario esatto, di una città morta.