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Fondazione Gimbe:«Fase 2 a rischio, aumentare i tamponi». Il Piemonte è sopra la media nazionale

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Con la Fase 2 il Piemonte affronta tra luci ed ombre la questione tamponi, cruciale secondo la Fondazione Gimbe (il cui scopo è diffondere evidenze scientifiche attraverso ricerche indipendenti) che spiega come «con l’indagine siero-epidemiologica non ancora avviata e l’app “Immuni” al palo, l’unica strategia per la fase 2 sarebbe una mirata estensione dei tamponi». Questo è il sunto del report pubblicato ieri e significativamente intitolato “Coronavirus: fase 2 con le armi spuntate. No testing, no tracing”.

 

 

Sempre ieri, l’assessore regionale alla sanità, Luigi Icardi, ha dichiarato che «si è appena conclusa una gara per l’acquisto di tamponi e, in pochi giorni, arriveremo a poter fare 10.000 tamponi al giorno, e una parte sarà dedicata ai cittadini che risulteranno positivi al test sierologico», pur precisando che fare quest’ultimo privatamente «non è una pratica che incoraggiamo, ma visto che sono stati così intercettati dei malati non possiamo fare finta che questo non esista».

Dal report di Fondazione Gimbe la nostra regione risulta tra quelle che hanno effettuato tamponi “diagnostici” in misura superiore alla media nazionale. I tamponi “diagnostici” sono una parte di tutti quelli effettuati, che comprende anche quelli “di controllo”, utilizzati «per confermare la guarigione virologica o per altre necessità di ripetere il test». E, anzitutto, Gimbe lamenta «notevoli differenze regionali» nell’effettuare tamponi diagnostici: a fronte di una media italiana del 61,7% «si va dal 34,1% della Campania al 98,2% della Calabria» che mostra come «le Regioni hanno una propensione al testing molto eterogenea e non sempre correlata alla situazione epidemiologica».

Nel periodo tra il 23 aprile e il 20 maggio in Piemonte stati effettuati 80 tamponi diagnostici al giorno ogni 100mila abitanti, quasi come il Veneto e ben sopra al dato medio italiano (61) e ai dati di Lombardia (64), Emilia Romagna (61) e Liguria (60) che sono tra le regioni più colpite. Tuttavia, analizzando il periodo di Fase 2 già avviata, dal 7 al 20 maggio, la Fondazione Gimbe mostra che il Piemonte è tra le nove regioni che hanno abbassato la media di tamponi “diagnostici” (-7).

Per capire: secondo nostri calcoli 80 è quasi il 64% dei circa 126 tamponi giornalieri totali ogni 100mila abitanti effettuati in Piemonte dal 23 aprile al 20 maggio.

Ma di che cosa si tratta e perché sono importanti?  Si tratta dei tamponi che possono individuare i soggetti asintomatici e rappresentano uno dei tre pilastri (il “testing”) per accompagnare la Fase 2 secondo «evidenze scientifiche e raccomandazioni internazionali». Gli altri due sono il “tracing” (ad esempio l’app Immuni) e il “treatment” (l’isolamento degli asintomatici individuati).

In Italia – afferma il report di Gimbe – questi pilastri non possono contare su un’adeguata infrastruttura informativa, tecnologica e organizzativa necessaria per una ripartenza del Paese in sicurezza nel momento in cui i dati riflettono ancora la fase finale del lockdown. «Anche nella settimana 13-20 maggio – afferma il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta – il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe conferma sia la costante riduzione del carico di ospedali e terapie intensive, sia il rallentamento sul fronte di contagi e decessi», ma «il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie, verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive».

In conclusione per Gimbe «il numero medio giornaliero di tamponi “diagnostici” è incredibilmente esiguo rispetto alla massiccia attività di testing e tracing necessaria»  e inoltre «per quasi tutte le Regioni – conclude Cartabellotta – la ricerca attiva di contagi asintomatici e la tracciatura dei loro contatti non rappresentano una priorità nonostante siano strumenti indispensabili della fase 2» pur sapendo che «l’unica arma a disposizione oggi sono i tamponi diagnostici. Eseguirne pochi aumenta il rischio di una seconda ondata».

 

 

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Antonio Maio

Nato a Lecco il 26 febbraio 1957, vive a Novara dal 1966. Giornalista dal 1986 ha svolto la professione quasi esclusivamente ai settimanali della Diocesi di Novara fino a diventarne direttore.

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