C’è una buona notizia, finalmente. La commissione giudicatrice chiamata a valutare la congruenza tecnico-economica dell’unica offerta per la realizzazione del nuovo ospedale di Novara (quella del Gruppo Dogliani di Cuneo che costruirà anche la Città della salute di Torino) ha concluso i suoi lavori. Un passo avanti, certo. Dopo anni di stop, rinvii, revisioni di bandi e cifre, qualcosa si muove. Ma è qui che arriva il cortocircuito.
Secondo il presidente della Regione, Alberto Cirio, l’assessore alla Sanità, Federico Riboldi, e il direttore generale del Maggiore, Stefano Scarpetta, «la procedura sta rispettando le tempistiche previste». Una dichiarazione che, detta così, suona come una provocazione per chiunque abbia un minimo di memoria, e soprattutto per i novaresi che da anni assistono a una telenovela amministrativa fatta di promesse e proroghe.
Perché è vero che da dicembre, data dell’assegnazione provvisoria del bando, i passaggi stanno seguendo la tabella di marcia. Ma fingere che il progetto non abbia accumulato ritardi strutturali è un insulto all’intelligenza pubblica. Il percorso della Città della Salute è stato tutto fuorché lineare: basti ricordare che il bando è stato prorogato più volte (l’ultima slittando dal 30 settembre al 20 dicembre 2024). E non dimentichiamo i numeri: oltre 100 milioni in più rispetto al progetto iniziale e altri 2 milioni in rinvii, progettazioni, consulenze. Altro che cronoprogramma rispettato.
Ora si passa alla fase successiva: gli atti della commissione verranno trasferiti al Rup (responsabile unico del procedimento), che dovrà predisporre la proposta di aggiudicazione e avviare le verifiche dei requisiti. Un passaggio tecnico, previsto dalla legge, che non dovrebbe creare ulteriori ostacoli. Ma è ormai chiaro che quando si parla di questo ospedale il condizionale è sempre d’obbligo.
Tutti – nessuno escluso – si augurano che l’ospedale venga costruito nei cinque anni previsti dalla firma del contratto. Ne ha bisogno la città, ne ha bisogno il territorio, ne ha bisogno una sanità pubblica sempre più fragile. Ma le frasi trionfalistiche servono a poco. Soprattutto quando si pretende di far passare per puntualità ciò che in realtà è solo l’ultimo tratto di una maratona zoppicante.
Ecco perché, oggi, applaudire per essere “in orario” ha il sapore amaro di chi arriva tardi e pretende pure il tappeto rosso.